il diritto commerciale d’oggi
     VII.3 – novembre 2008

STUDÎ & COMMENTI

 

FRANCESCO CHIAPPETTA

Le operazioni con parti correlate: profili sistematici e problematici

 

   1. Premessa
   Come noto, il motivo del grande interesse che in questi ultimi mesi si è registrato sull’argomento delle operazioni con parti correlate risiede nella pubblicazione da parte di Consob di un documento di consultazione – su cui torneremo approfonditamente nel seguito – contenente una proposta di regolamentazione in materia di operazioni con parti correlate, in attuazione della delega legislativa attribuitale dall’art. 2391-bis del codice civile.
   Tale articolo, inserito nel codice civile a seguito della riforma del diritto societario, nell’introdurre l’obbligo per gli organi di amministrazione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio di adottare regole che assicurino la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate, ha infatti demandato alla Consob l’individuazione dei principi generali in tale materia.
Prima di addentrarci nell’esame delle proposte di regolamentazione pubblicate dalla Consob che tante discussioni hanno suscitato, è bene chiarire da subito che quando si parla di operazioni con parti correlate si fa riferimento a quelle operazioni in cui il particolare rapporto intercorrente con la controparte fa presumere un rischio di non congruità sostanziale delle stesse.
   Si comprende agevolmente allora che la ratio di una disciplina su tale materia riposa nell’esigenza di assicurare una gestione corretta e trasparente di quelle operazioni nelle quali maggiore è il rischio che le scelte degli amministratori siano orientate, non già al perseguimento dell’interesse della società, cioè degli azionisti, e più in generale di tutti coloro che hanno investito nella società, ma al conseguimento di benefici privati per sé stessi o per altri, e, particolarmente - è il caso di società ad azionariato concentrato e, dunque, tipicamente, del sistema nazionale - del socio o gruppo di comando che li esprime. E’ inutile aggiungere che la regolamentazione di una tale materia presenta indubbi profili di delicatezza, posto che si vanno a toccare profili essenziali dell’organizzazione societaria, quali: la discrezionalità dell’attività gestoria; il patrimonio sociale; le posizioni dei singoli portatori di interessi (finanziari) nell’ambito della società. Se si vuole, in una parola, quello che usa chiamare l’interesse sociale.

   2. Evoluzione degli interventi normativi
   La disciplina delle operazioni con parti correlate ha riguardato nel nostro ordinamento, dapprima, il profilo della trasparenza di tali operazioni; successivamente, quello della loro correttezza sostanziale e procedurale.

   2.1 La trasparenza delle operazioni con parti correlate e …
   Inizialmente, a partire dal 1993, la materia è stata affrontata dalla Consob attraverso varie comunicazioni, tutte incentrate su che fosse garantita la trasparenza delle anzidette operazioni.
   In un primo intervento la Consob ha in particolare richiamato l’attenzione delle società di revisione su tali operazioni, le quali in relazione alla loro potenziale non rispondenza «ai canoni della regolarità degli atti sociali», avrebbero potuto configurare fatti censurabili (1).
   Successivi interventi hanno poi interessato il profilo dei controlli interni e dell’informazione, in termini vuoi di informativa sulle operazioni di tale natura poste in essere nell’esercizio delle deleghe che gli organi delegati sono tenuti a fornire al consiglio di amministrazione, vuoi di contenuti della relazione che il collegio sindacale è tenuto a fare all’assemblea in occasione dell’approvazione del bilancio (2).
   A partire dal 2002, l’intervento dell’Autorità di vigilanza ha assunto valenza propriamente normativa mediante l’inserimento nel Regolamento Emittenti di una specifica previsione (art. 71-bis) volta ad assicurare una circostanziata informativa al pubblico in occasione della realizzazione di operazioni con parti correlate di rilievo, per tali intendendosi quelle che «per oggetto, corrispettivo, modalità o tempi di realizzazione possono avere effetti sulla salvaguardia del patrimonio aziendale o sulla completezza e correttezza delle informazioni, anche contabili, relative all’emittente». In tali casi, infatti, le società quotate sono tenute a pubblicare un documento informativo contenente, tra l’altro, informazioni di dettaglio sulle caratteristiche, le modalità e le condizioni dell’operazione, sulle sottese motivazioni economiche, nonché sulle modalità di determinazione del corrispettivo e la sua congruità.
   Nel quadro poi dell’applicazione alle società quotate italiane del Regolamento (CE) n. 1606/2002 in materia di principi contabili internazionali, la Consob, nel corso del 2006 (3), nell’individuare gli schemi di bilancio per gli emittenti strumenti finanziari quotati diversi dalle imprese bancarie e assicurative, ha richiesto di evidenziare – qualora di importo significativo – nei prospetti di stato patrimoniale, conto economico e rendiconto finanziario, l’ammontare delle posizioni o transazioni con parti correlate, distintamente dalle voci di riferimento (4) (nonché, nel prospetto di conto economico, i componenti di reddito (positivi e/o negativi) derivanti da eventi od operazioni il cui accadimento risulta non ricorrente ovvero da quelle operazioni o fatti che non si ripetono frequentemente nel consueto svolgimento dell’attività).
   Sempre con riferimento all’informativa in materia di bilanci e di relazione semestrale e ancora nel corso del 2006 la Consob con apposita comunicazione ha richiesto alle società di fornire alcune specifiche informazioni sugli effetti delle operazioni con parti correlate (così come degli eventi e operazioni significative non ricorrenti e delle operazioni atipiche e/o inusuali).
   Infine, merita di essere ricordata la disciplina contenuta nel nuovo art. 154-ter (“Relazioni finanziarie”) del Testo Unico della Finanza (decreto legislativo n. 58/1998 il “TUF”), introdotta all’atto del recepimento della cd. direttiva “Transparency” (5). Tale disposizione, infatti, prevede specifici obblighi informativi sulle operazioni rilevanti con parti correlate di cui gli emittenti devono dar conto nelle relazioni intermedie sulla gestione e conferisce alla Consob la potestà di definire mediante regolamento il contenuto di tali informazioni. Tale delega la Consob è intenzionata ad esercitare in occasione della definizione della disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del codice civile, allo scopo di dare organica sistemazione all’intera materia nel contesto del medesimo intervento disciplinare.

   2.2 la loro correttezza sostanziale e procedurale
   Per quanto riguarda la correttezza procedurale e sostanziale delle operazioni in questione, occorre anzitutto segnalare che, prima dell’introduzione dell’art. 2391-bis del codice civile, la materia era stata considerata unicamente in via di autoregolamentazione dal Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana (di seguito il “Codice”) il quale già a partire dall’edizione del 2002 ha dettato alcune raccomandazioni relativamente a tali profili.
   Tutto ciò è stato oggetto di rivisitazione in occasione della edizione del Codice del marzo 2006 là dove, preso atto della nuova disciplina di cui al citato art. 2391-bis del codice civile, sono stati delineati più precisamente (art. 9) i comportamenti cui le società quotate sono tenute per dare operativamente sostanza ai principi di correttezza sostanziale e procedurale in tema di operazioni con parti correlate.
   In particolare, ribadito il principio secondo cui il consiglio di amministrazione deve adottare misure volte ad assicurare, nel proprio agire, la trasparenza e il rispetto dei criteri di correttezza sostanziale e procedurale, il Codice ha stabilito, sul piano applicativo, che lo stesso consiglio di amministrazione, sentito il comitato per il controllo interno, provveda a definire le modalità di approvazione e di esecuzione delle operazioni poste in essere dall’emittente, o dalle sue controllate, con parti correlate. Il consiglio è chiamato, in particolare, a definire le specifiche operazioni (ovvero a determinare i criteri per individuare le operazioni) che devono essere approvate previo parere dello stesso comitato per il controllo interno e/o con l’assistenza di esperti indipendenti.
   È dunque coinvolto in primo luogo il consiglio di amministrazione stesso, chiamato a definire regole e procedure adeguate, con il comitato per il controllo interno in veste consultivo-propositiva.
   Al riguardo, il Codice richiama il fatto che la prassi segnala molteplici “tecniche” volte ad assicurare la fairness sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate: il rimettere al consiglio di amministrazione la preventiva approvazione delle operazioni di maggiore rilievo (queste poi individuate mediante parametri vuoi quantitativi vuoi qualitativi, vuoi ancora quali-quantitativi); il riconoscimento al comitato per il controllo interno di un ruolo di oversight e di indirizzo nella conduzione delle operazioni in esame, da esercitarsi sulla base delle informazioni ricevute dal management; la diversificazione di ruoli e responsabilità decisionali a seconda della tipologia di operazioni considerate (per esempio, modulando l’intervento del comitato per il controllo interno a seconda che l’operazione rientri o meno nel cd. ordinary course of business); il ricorso ad esperti indipendenti (eventualmente selezionati dagli amministratori indipendenti); la previsione di un parere preventivo del comitato per il controllo interno, eventualmente dotandolo di efficacia vincolante per quelle operazioni che superino determinate soglie di rilevanza; l’affidamento delle trattative ad uno o più amministratori indipendenti (o comunque privi di legami con la parte correlata); la previsione di opportuni presidi in termini di reporting a garanzia della trasparenza, da un lato, e della verificabilità della correttezza delle operazioni, dall’altro.

   3. Discipline che insistono sulla stessa fattispecie: i) operazioni in cui esiste un interesse degli amministratori; ii) operazioni di “gruppo”
   Il nostro ordinamento già detta discipline specifiche per alcune ipotesi di operazioni con parti correlate. Si tratta delle operazioni in cui sussiste un interesse degli amministratori e delle operazioni di “gruppo” cui la riforma ha dedicato rispettivamente le disposizioni di cui agli artt. 2391 e 2497 e ss. del codice civile. Una notazione al riguardo ritengo vada subito fatta: si tratta di regole e principi che la normazione di carattere secondario che la Consob è chiamata ad emanare non può trascurare né tanto meno pretermettere.

   3.1 Operazioni in cui esiste un interesse degli amministratori
   Quanto alla prima tipologia la relativa disciplina – contenuta come detto nell’art. 2391 del codice civile, come modificato a seguito della riforma del diritto societario – è nell’insieme orientata a un principio sistematico di trasparenza (al quale sono per vero improntate, come vedremo, le disposizioni in tema di operazioni di “gruppo”), agevole essendo notare che si è passati in materia da un sistema di divieto (assoluto) di voto in capo agli amministratori “interessati” a un sistema di disclosure obbligatoria e di decisione informata.
   Il “nuovo” art. 2391 del codice civile prevede per l’amministratore l’obbligo, non più di astenersi dal partecipare alla deliberazione in cui è “interessato” ma, (soltanto) di comunicare agli altri amministratori e al collegio sindacale l’interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata. La comunicazione deve avvenire prima che sia deliberata l’operazione rispetto alla quale tale interesse si profila e deve essere tale, dal punto di vista del contenuto, da consentire agli amministratori di valutare l’operazione. Solo se la situazione di interesse coinvolge l’amministratore delegato, costui deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale.
   Il “nuovo” art. 2391 – è da notare – si applica ad ogni ipotesi in cui l’amministratore sia portatore, in relazione all’atto da compiere, di un interesse proprio o per conto di terzi: viene meno, cioè, il presupposto della previgente disciplina (significativamente rubricata “conflitto d’interessi”, mentre quella attuale è “interessi degli amministratori”), costituito dal rapporto d’incompatibilità tra quell’interesse e l’interesse della società.
   Al riguardo, due profili sembrano meritare particolare attenzione: quello legato all’individuazione della natura dell’interesse rilevante e quello inerente all’ipotesi in cui l’interesse per conto di terzi sia costituito dall’interesse della società capogruppo, della quale l’amministratore (della società sottoposta) sia espressione, ponendosi in tal caso il problema dell’interferenza tra la disciplina in esame e quella dettata in materia di gruppo, rectius di “attività di direzione e coordinamento”.
   Tralasciando per il momento il tema da ultimo segnalato, occorre qui ricordare, quanto al primo tema, che ci si è interrogati se rilevi qualunque interesse dell’amministratore ovvero se occorra fare riferimento a una qualche soglia di rilevanza. Secondo una prima tesi è sì vero che addirittura anche gli interessi extrapatrimoniali devono essere in principio oggetto di comunicazione, tuttavia molti di essi sarebbero al di sotto della soglia di rilevanza giuridica. Al riguardo, per superare le inevitabili incertezze applicative, si è proposto di individuare il criterio di ritenere tendenzialmente irrilevanti i casi in cui l’interesse dell’amministratore è legato alla propria posizione all’interno della società (6), includendo invece, nell’ambito di applicazione dell’art. 2391, le situazioni in cui l’interesse dell’amministratore discende dalla sua sfera, per così dire, extrasociale. Secondo altra tesi, invece, l’ampiezza degli interessi rilevanti rende necessario che gli stessi siano sottoposti dall’amministratore, tenuto all’obbligo di comunicazione, a un giudizio, per così dire, di “rilevanza sociale” al fine di verificare la loro effettiva idoneità a interferire sulla decisione, dovendosi peraltro tenere conto della discrezionalità che caratterizza l’assunzione delle scelte gestionali.
   Altra tesi, infine, ravvisa l’interesse rilevante nelle sole utilità che al pari della operazione da compiere abbiano carattere di specificità e concretezza e il cui conseguimento sia non già in relazione di mera occasionalità con l’operazione medesima, ma in un rapporto di derivazione immediata e diretta, rappresentando così quest’ultima la condizione necessaria e sufficiente (ancorché non l’unica) per l’integrale soddisfacimento di tale interesse (o per converso, là dove l’interesse sia al non compimento dell’atto gestorio, di ostacolo alla sua realizzazione).
   Riguardo al secondo elemento caratterizzante la nuova disciplina – la necessità che si addivenga a una decisione informata – occorre muovere dall’art. 2391, 2° comma, c.c., secondo cui la deliberazione del consiglio di amministrazione, ove si riferisca ad una operazione in cui uno degli amministratori abbia un interesse proprio o per conto di terzi, «deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società» dell’operazione stessa.
   La nuova disposizione può essere adeguatamente intesa considerando l’intento del legislatore di abbandonare la prospettiva del “conflitto”, centrata sul rapporto tra due soggetti (secondo lo schema del conflitto di interessi tipicamente privatistico), e di assumere un diverso angolo visuale, quello delle ragioni imprenditoriali – non a caso si parla di ragioni e convenienza – della concreta operazione da deliberare: è con riferimento all’attività economica concretamente svolta che l’organo di amministrazione è chiamato a individuare, valutare, e, quindi, dichiarare appunto “le ragioni e la convenienza” della specifica operazione. Questo dovere di motivazione, non diversamente dal dovere di informazione, appare allora essenzialmente finalizzato a rafforzare l’obiettività e l’imparzialità nell’esercizio della funzione gestoria, nella prospettiva di un ottimale svolgimento dell’attività economica programmata.
   Il focus sull’attività di impresa e sulla necessità di salvaguardarne integrità ed efficienza può essere rilevato, d’altra parte, se si riflette ulteriormente sul comportamento richiesto all’amministratore interessato. Al riguardo, è da notare che in passato l’amministratore in conflitto di interessi poteva sottrarsi a qualsiasi responsabilità comunicando l’esistenza del conflitto e astenendosi dal voto. Ciò non gli impediva, tuttavia, di esercitare pressioni sugli altri componenti del collegio e di persuaderli a adottare egualmente la deliberazione. La disciplina vigente, viceversa, se da un lato si preoccupa di assicurare un’adeguata valutazione della convenienza imprenditoriale dell’operazione – in tal senso apprestando un corrispondente dovere di motivazione –, dall’altro lato, responsabilizza maggiormente l’amministratore, inducendolo a valutare il comportamento da tenere sulla base delle conseguenze che potrebbero derivare alla società dall’eventuale adozione della delibera. L’amministratore deve tener presente, in particolare, che, ai fini dell’esonero da responsabilità, è decisiva non più la mera astensione dal voto ma la dannosità per la società della deliberazione concretamente adottata (l’amministratore interessato risponde infatti dei «danni derivati alla società dalla sua azione od omissione»: art. 2391, 4° comma).
   Insomma l’amministratore, ove scelga di votare la delibera (7), si espone a responsabilità nei confronti della società ove la delibera possa recare danno a quest’ultima e sia stata assunta col voto determinante dell’amministratore interessato.
   Ma è da ritenere che neppure l’amministratore possa “trincerarsi” dietro la propria astensione, sussistendo la sua responsabilità per i danni eventualmente derivati alla società ove risulti che la delibera non sarebbe stata assunta se egli, in ottemperanza al dovere di agire «con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico» (art. 2392), avesse partecipato attivamente alla deliberazione, non limitandosi dunque a una mera astensione.

   3.2 Operazioni di “gruppo”
   Punto di partenza è l’osservazione che l’esistenza di legami, partecipativi e non, fra le imprese del gruppo, induce la possibilità di termini “anomali” delle operazioni che le vedono protagoniste, con la conseguenza che le stesse non risultino nè efficienti né rispettose degli interessi coinvolti.
   Per tali operazioni – che rientrano a pieno titolo tra quelle con parti correlate – l’approccio tradizionale al problema era nel senso di estendere l’applicazione della disciplina del conflitto d’interessi delineata nel codice civile: disciplina peraltro volta a regolare il conflitto nell’ottica, del tutto diversa, di singoli soggetti e di singole operazioni.
   La riforma del 2003 ha preso atto dell’inadeguatezza di questa prospettiva e, consapevole dell’immanenza di situazioni di possibile pregiudizio per gli interessi di quanti hanno investito nelle società che ne fanno parte, segnatamente dei loro azionisti “esterni”, nonché delle aspettative dei creditori sociali, ha scelto di intervenire, per un verso, imponendo un’ampia disclosure all’assetto di “gruppo” e, per altro verso, introducendo strumenti di limitazione dei rischi connessi all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento. Più precisamente, si tratta di disposizioni che prevedono:
   – obblighi di trasparenza nelle decisioni e specifiche forme di pubblicità connesse allo status di società soggetta a direzione e coordinamento;
   – responsabilità diretta della controllante verso i soci e i creditori delle controllate, in caso di abuso.
   – diritto di recesso in caso di mutamento dell’assetto imprenditoriale in cui la società (del gruppo) si trova ad operare ovvero nell’ipotesi in cui l’attività di direzione e coordinamento sia stata esercitata in modo non conforme ai principi di corretta gestione affermati dall’art. 2497 del codice civile.
   Concentrando la nostra attenzione sul profilo delle decisioni, è da rilevare che l’art. 2497-ter del codice civile prevede che «Le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione».
   Come chiarito dalla Relazione al decreto legislativo 6/2003 (§ 13), la ragione dell’analitica motivazione delle decisioni della controllata è coerente all’impianto generale della normativa attenta a prevedere regole sia di trasparenza sia di procedimentalizzazione delle attività.
   In questo caso, la trasparenza coinvolge l’intero processo deliberativo perché, come afferma ancora la Relazione al decreto legislativo 6/2003: «Solo la conoscenza delle ragioni economiche ed imprenditoriali di un’operazione può consentire un giudizio sulla correttezza di questa, può cioè consentire di valutare se la apparente diseconomicità di un atto, isolatamente considerato, trova giustificazione nel quadro generale dei costi e benefici derivanti dall’integrazione di un gruppo oppure no».
   Tali ragioni economiche ed imprenditoriali dell’operazione, in realtà, appartengono anzitutto alla società controllante, essendo anomalo che la decisione della controllata, influenzata dall’attività di direzione e coordinamento, non abbia un riscontro deliberativo o quantomeno decisionale nella capogruppo. Tant’è, il legislatore sul punto tace.
   La citata disposizione codicistica pone poi alcuni problemi interpretativi, due dei quali meritano un cenno a parte in quanto aventi diretti e rilevanti riflessi operativi.
   Il primo problema riguarda l’individuazione delle decisioni interessate dalla disposizione: sulla base della lettera della disposizione, ragionevolmente interpretata, dovrebbero essere estranee alla disposizione stessa non solo le decisioni assunte dalla controllata in totale autonomia, ma anche quelle che, pur essendo connesse con l’appartenenza al gruppo, non sono “influenzate” dall’attività di direzione e coordinamento e quindi non comportano in alcun modo per la controllata un potenziale conflitto e pregiudizio a favore dell’interesse di gruppo.
   In concreto, probabilmente, le questioni verteranno, oltre che sul profilo ora accennato, anche sulla prova dell’estraneità, rispetto alla delibera assunta, di un’influenza della controllante.
   Il secondo problema riguarda le motivazioni da esporre, riassunte nella disposizione di legge come «indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione». Alcuni ritengono che tali motivazioni, nel dettaglio, debbano includere il futuro beneficio “compensativo” da individuare e quantificare, anche se tale beneficio non si realizzi contestualmente. L’opinione non convince però. Per i motivi già esposti, si è portati a ritenere che nel momento deliberativo sia importante incentrare l’attenzione sull’interesse imprenditoriale di gruppo, cioè sull’interesse dell’impresa integrata, e sul perché questo interesse richieda l’assunzione della decisione in questione. D’altra parte la trasparenza sulla scelte gestionali rappresenta, in genere, un antidoto, una misura di salvaguardia preventiva, al compimento di possibili abusi. Ciò vale anche per il tema che qui stiamo trattando.
   Non sarà certamente sfuggita la circostanza che un obbligo di motivazione, analogo a quello ora esaminato, è previsto dalla disciplina riguardante le operazioni in cui uno degli amministratori abbia un interesse proprio o per conto di terzi di cui vi ho precedentemente parlato.
   Per le notevoli conseguenze in termini applicativi, occorre a questo punto chiedersi se tra le due discipline vi siano ambiti di possibile interferenza.
   Ci si riferisce, in particolare, all’ipotesi in cui l’organo di amministrazione (collegiale o delegato) di una società soggetta ad attività di direzione e coordinamento intenda assumere una decisione che, in quanto “influenzata” da tale attività, appaia riconducibile agli articoli 2497 ss. del codice civile (segnatamente, all’art. 2497-ter che, come si è detto, impone l’obbligo di motivazione), e che, essendo adottata con il concorso di amministratori “espressi” dalla società controllante (siano essi dirigenti o comunque dipendenti di quest’ultima ovvero amministratori della stessa), e dunque portatori dell’interesse di questa, sia riconducibile anche all’art. 2391 del codice civile.
   In tale ipotesi, occorre chiedersi se vi sia spazio per applicare congiuntamente entrambe le discipline ovvero se debba trovare applicazione solo una e non l’altra, e, se del caso, quale delle due.
   Una conveniente risposta all’interrogativo non può prescindere dal considerare che l’una e l’altra disciplina presentano differenze radicali in termini di fattispecie e di interessi tutelati. Al riguardo, abbiamo già notato che la disciplina di cui all’art. 2391 del codice civile, concerne singoli atti od operazioni e si occupa, essenzialmente, di definire il comportamento dell’amministratore nell’adozione delle relative decisioni, per le ipotesi, del tutto occasionali e problematiche, in cui risulti portatore di interessi diversi da quelli che dovrebbe esclusivamente tutelare.
   Al contrario, gli articoli 2497 e ss. del codice civile, sono volti a disciplinare un’attività (“di direzione e coordinamento”) il cui esercizio determina il condizionamento dell’attività d’impresa di altra società.
   La valutazione di tale condizionamento avviene in una prospettiva totalmente diversa da quella con cui si valutano le occasionali interferenze dell’interesse di un amministratore con quello della Società. Infatti, una volta riconosciuta l’esistenza di un interesse imprenditoriale di gruppo meritevole di tutela, che trascende quello delle singole società coinvolte nella decisione, il rischio del pregiudizio che tale decisione può comportare per i terzi finanziatori o creditori della Società viene circoscritto attraverso gli obblighi, che ho già ricordato, di trasparenza e di pubblicità, oltre che attraverso l’assunzione da parte della capogruppo di una responsabilità diretta. In tal caso, anche le operazioni che isolatamente considerate rientrerebbero nell’ambito applicativo dell’art. 2391 del codice civile, saranno invece disciplinate esclusivamente dalle disposizioni “speciali” di cui agli artt. 2497 ss. del codice civile. L’osservanza delle cautele previste dalla legge assicura, in tal caso, un presidio alla correttezza e alla trasparenza delle relative operazioni, e perciò alla salvaguardia dei vari interessi coinvolti, certamente maggiore e più mirato di quello fornito dalla disciplina “generale”, ma “atomisticamente-orientata”, di cui all’art. 2391 del codice civile.

   4. Temi critici nella disciplina regolamentare proposta dalla Consob
   Ciò posto, nel seguito di questo mio intervento vorrei richiamare l’attenzione sui temi centrali e problematici della regolamentazione delle operazioni con parti correlate, e su cui l’esercizio della Consob è ancora allo “stato nascente”, vale a dire: la nozione di parti correlate; i criteri di rilevanza delle operazioni con parti correlate, a fini sia sostanziali che di disclosure al mercato; il ruolo del consiglio di amministrazione e, in particolare, degli amministratori indipendenti nella regolamentazione (interna a ciascuna società) e nella gestione di tali operazioni.

   4.1 La nozione di parti correlate
   Mi limiterò invero a qualche cenno di carattere generale circa la nozione di parti correlate e i criteri per l’individuazione delle operazioni rilevanti ai fini dell’applicazione della emananda disciplina della Consob, posto che la successiva relazione è specificamente dedicata a questo argomento.
   Con riferimento alla nozione di parti correlate la Consob conferma, nella pubblica consultazione tuttora in corso, l’impostazione basata sul rinvio ai criteri identificativi della categoria indicati nel principio contabile internazionale “International Accounting Standard 24 -Related Party Disclosures” (IAS 24). La Consob si era per vero indirizzata in questo senso nel passato (8) e da ultimo nel 2005.
   A seguito invero dell’adozione, nel gennaio 2005, dello IAS 24 all’interno dell’Unione Europea sulla base del Regolamento n. 1606/2002, la Consob, con delibera n. 14490 del 14 aprile 2005, ha introdotto nell'art. 2 (Definizioni) del Regolamento Emittenti la lettera h) che, allo stato, individua come “parti correlate” i soggetti definiti tali dal principio contabile internazionale IAS 24 concernente l'"Informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate” (9) (incidentalmente, si segnala che il principio contabile IAS 24 è attualmente in fase di revisione da parte dell’International Accounting Standards Board per quanto riguarda, tra l’altro, proprio la definizione di parte correlata).
   La scelta non è allineata a quelle degli altri Paesi europei, in particolare Regno Unito, Francia e Germania, i quali hanno adottato una propria specifica nozione di parte correlata, generalmente più ristretta rispetto a quella dello IAS 24. A volte, come nel caso della Gran Bretagna (Listing Rule 11.1.4), si fa riferimento a fattispecie molto limitate nel numero ma sufficientemente elastiche da farvi rientrare ogni situazione potenzialmente rilevante (ad esempio, è incluso lo “shadow director”, cioè colui che normalmente condiziona l’operato degli amministratori). In altri casi, come in Francia, le ipotesi che concretizzano il rapporto di correlazione sono identificate, con chiarezza, nei rapporti diretti o indiretti della società con i direttori generali, gli amministratori (e società dagli stessi controllate o amministrate) e gli azionisti titolari di diritti di voto in misura superiore al 10% (e relative società controllanti). In altri casi ancora, come in quello tedesco, una specifica disciplina dei rapporti con le parti correlate è prevista limitatamente alle transazioni tra la società e i propri managers, membri del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza. Rimangono invece esclusi dalla disciplina i rapporti con gli azionisti, che vengono separatamente disciplinati, anche a livello di trasparenza, nella normativa che regola i gruppi di società. Infine, gli USA fanno riferimento al principio contabile adottato dal FASB (Financial Accounting Standards Board), in particolare il principio FAS 57, da cui lo IAS 24 sostanzialmente non si discosta molto.
   A me sembra che l’impostazione della Consob con riferimento alla nozione di parti correlate rilevante ai fini della disciplina di cui all’art. 2391-bis c.c. non sia condivisibile.
   Poiché il tema è uno di quelli che saranno approfonditi nel prosieguo del presente Convegno, mi limito qui ad alcune osservazioni di sistema, spero utili per gli approfondimenti successivi.
   Il vero è che diversi sono i piani su cui si muovono e diverse le esigenze che intendono soddisfare le discipline di cui allo IAS 24 e all’art. 2391-bis del codice civile, sicché l’applicazione automatica, una sorta di rinvio recettizio – operato in via ortopedica dall’Autorità di mercato – della seconda alla prima lascia qualche perplessità.
   Lo IAS 24 giace sul piano dell’informativa (di bilancio), si situa cioè nell’area del conoscere (per valutare) ciò che è stato (già) fatto. È, segnatamente, strumento funzionale ad illustrare al mercato e, in primis, a chi ha investito nella società, alcune situazioni di allocazione di risorse dell’impresa che potrebbero avere effetti significativi vuoi sulla sua situazione patrimoniale vuoi su quella economica e finanziaria.
   In questo senso mi sembra di esemplare chiarezza quanto affermato nello stesso IAS 24, vale a dire che lo scopo dell’informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate «è quello di assicurare che il bilancio di un’entità contenga le informazioni integrative necessarie a evidenziare la possibilità che la sua situazione patrimoniale-finanziaria e il suo risultato economico possano essere stati alterati dall’esistenza di parti correlate e da operazioni e saldi in essere con tali parti».
   L’art. 2391-bis del codice civile ha riguardo (sì anche al piano della trasparenza, e dunque dell’informativa, ma) principalmente al momento dell’agire (gestorio), all’area, cioè, del fare degli amministratori (nel suo divenire). E ciò allo scopo di evitare che il trattare, il negoziare, con una parte correlata un’operazione o un affare possa indurre termini anomali dell’operazione o dell’affare stesso.
   L’art. 2391-bis insomma giace sul piano dell’organizzazione, della governance, se si preferisce. E non è un caso, a mio avviso, che la disposizione codicistica (come molte altre per vero della recente produzione normativa di fonte legale in materia di società, in generale, e quotate, in particolare,) discende e sia figlia dei Codici di Autodisciplina che si sono succeduti nel tempo. E, allora, come ho già detto, non si può a mio avviso trascurare che per le operazioni con alcune parti correlate già il codice civile ha provveduto a dettare una disciplina a tutela della loro correttezza sostanziale e procedurale: le operazioni connesse all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento e quelle in cui sussiste un interesse degli amministratori.
   Oltre a ciò, va rilevato che il rinvio “secco” allo IAS 24 pone su un piano di mera facoltatività l’inserimento nella definizione di parti correlate di situazioni che in Italia, alla luce degli assetti del nostro capitalismo, appaiono rilevanti; il riferimento è, tipicamente, ai soggetti che partecipino a un patto parasociale che consenta il controllo congiunto o l’influenza dominante sulla società.
   In conclusione, credo che una ulteriore meditazione dell’Autorità sul tema possa risultare opportuna, onde evitare inutili problemi interpretativi (con i connessi riflessi applicativi, posto che parliamo di “operazioni”) e peggio ancora appesantimenti indesiderati all’operatività delle imprese.

   4.2 Il ruolo del Consiglio di Amministrazione e, in particolare, degli amministratori indipendenti
   La bozza di articolato Consob prevede che «i consigli di amministrazione delle società adottano … procedure interne che assicurino la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate». La stessa bozza precisa poi che tali procedure «a) identificano le parti correlate e le operazioni a cui applicare le regole (i.e. quelle di cui allo stesso articolato Consob); b) stabiliscono le modalità con cui si istruiscono e si approvano le operazioni con parti correlate, fissando specifiche regole per le operazioni da realizzare tramite società controllate; c) specificano le informazione la documentazione che devono essere fornite agli organi competenti a deliberare sulle operazioni con parti correlate e agli organi di amministrazione e controllo dopo l’esecuzione delle stesse; d) fissano le modalità e i tempi con i quali le informazioni e la documentazione di cui alla lettera c) devono essere fornite».
   La materia delle parti correlate è una di quelle in cui maggiormente viene ad evidenza il carattere necessariamente (o meglio, naturalmente) procedimentalizzato dell’agire sociale, in generale, e di quello degli amministratori, in particolare (cui, lo ricordo incidentalmente la gestione sociale è ora, post riforma, attribuita in via esclusiva): si tratta di scandire, articolare, in più fasi, o sub fasi, l’azione della società – a partire dal management fino agli organi di controllo – sì da garantire adeguata ponderazione delle decisioni; accurata informazione preventiva (quale fondamentale presupposto per l’assunzione di decisioni consapevoli e ponderate); costante vigilanza sui processi.
   In quest’ottica, le sopra richiamate previsioni Consob appaiono conferenti e coerenti anche con il dettato normativo di cui all’art. 2391-bis, posto che individuano i profili – gli ambiti – più significativi in cui la potestà di autorganizzazione della società deve (ad impulso e opera del consiglio di amministrazione) esplicarsi.
   Le criticità emergono nel momento in cui la Consob va a “conformare” il contenuto delle procedure, dando indicazioni sulla “direzione” in cui devono muoversi e addirittura delineando compiti e facoltà dei diversi attori dei processi istruttori e decisionali in materia.
   Probabilmente, infatti, la novità di maggior rilievo contenuta nella bozza di articolato è infatti costituita dall’assegnazione agli amministratori indipendenti di un ruolo centrale sia nella fase di predisposizione delle procedure che in materia le società sono tenute ad adottare, sia in quella di istruzione e approvazione delle operazioni con parti correlate.
   Relativamente alla fase di delineazione delle procedure, la proposta regolamentare prevede che nell’assunzione delle relative deliberazioni «un ruolo determinante» venga svolto da un comitato «costituito, nominato e composto da amministratori indipendenti» ovvero, in subordine, dall’unico amministratore indipendente presente nell’organo amministrativo, o, in mancanza di questo, dall’organo di controllo.
   Relativamente invece alla fase “realizzativa” o esecutiva delle operazioni con parti correlate, la bozza di articolato prevede che le procedure adottate dalle singole società conferiscano agli amministratori indipendenti compiti via via più pregnanti in funzione del livello di rilevanza delle singole specifiche operazioni, da valutarsi alla luce dei criteri (essenzialmente di tipo quantitativo) individuati dalla stessa Consob.
   In particolare, in presenza di operazioni con parti correlate qualificabili come “rilevanti” in applicazione dei criteri dettati dalla Consob, che di seguito andrò a descrivere e commentare, è richiesto che le procedure attribuiscano la competenza a deliberare sulle stesse al consiglio di amministrazione ovvero – nel caso di operazioni rientranti tra le materie per le quali è possibile una delega di poteri da parte dell’organo amministrativo – ad un Comitato composto da amministratori indipendenti, fermo restando che, in caso di competenza riservata al consiglio, agli amministratori indipendenti deve essere riconosciuto “un ruolo determinante” sia nell’approvazione dell’operazione, sia nella conduzione delle trattative e nell’istruttoria delle operazioni, con facoltà di avvalersi, a spese della società, di uno o più esperti indipendenti. La Consob ritiene infatti che la partecipazione attiva degli amministratori indipendenti alla negoziazione sia essenziale per «consentire loro di acquisire una conoscenza diretta e non mediata di tutti gli aspetti rilevanti dell’operazione e di ridurre l’asimmetria informativa che sussiste tra esecutivi e non esecutivi».
   Per le operazioni con parti correlate diverse da quelle da considerarsi “rilevanti”, la regolamentazione che la Consob si propone di introdurre ammette la possibilità di adottare soluzioni procedurali meno rigorose; in tali casi l’intervento degli amministratori indipendenti (sul punto la disposizione pare riferirsi a tutti gli amministratori di tale “categoria”) può essere limitato alla sola fase di approvazione delle operazioni, attraverso il rilascio di un parere preventivo (salva facendo peraltro la possibilità di avvalersi dell’assistenza di uno o più esperti indipendenti).
   Nel motivare le proprie scelte la Consob ha argomentato che i compiti e le responsabilità da attribuire agli amministratori indipendenti:
   – assicurerebbero una valutazione più obiettiva delle operazioni che sono a maggiore rischio di conflitti d’interessi, ferma restando la funzione di supervisione svolta dall’organo amministrativo sulle attività delegate ai sensi di legge;
   – porterebbero rilevanti benefici per la collettività dal momento che l’adozione di “presidi” più rigorosi contribuirebbe al miglioramento della reputazione di mercato;
   – valorizzerebbero il ruolo degli amministratori indipendenti, il cui impiego e coinvolgimento nella gestione è da tempo oggetto di richieste da parte del mercato.
   Anticipando in qualche modo le critiche che – come vedremo – possono essere mosse ai “nuovi compiti” assegnati agli amministratori indipendenti – avuto riguardo al rischio di “snaturamento” del ruolo tipicamente svolto da tale “categoria” di amministratori e di compromissione della stessa loro indipendenza – la Consob ha sostenuto che:
   • il Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana considera esecutivi solo gli amministratori che abbiano un coinvolgimento sistematico nella gestione corrente dell’emittente (mentre in questo caso gestirebbero solo le operazioni rilevanti con parti correlate) e che ricevano un compenso notevolmente incrementato rispetto a quello degli altri amministratori non esecutivi;
   • anche nella disciplina statunitense, agli indipendenti vengono attribuiti compiti come quelli ipotizzati nella disciplina proposta, senza che da ciò si faccia discendere una perdita dell’indipendenza;
   • il Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana, esemplificando la best practice attuativa del principio di correttezza sostanziale e procedurale nelle operazioni con parti correlate, indica, tra le diverse opzioni che le società possono adottare, l'affidamento agli indipendenti delle trattative;
   • ragionando diversamente, si potrebbe anche sostenere che i consiglieri di sorveglianza che deliberano sui piani strategici (competenza definita di “alta amministrazione”) possano perdere i requisiti di indipendenza.
   Ho ritenuto in passato e continuo a ritenere oggi che la posizione Consob susciti più di una perplessità.
In generale, preoccupa l’eccesso di formalizzazione e procedimentalizzazione che si prevede di introdurre per le operazioni con parti correlate, in un ambito fino ad oggi correttamente lasciato all’autodeterminazione delle società emittenti. In effetti, l’art. 2391-bis del codice civile ha affidato alla Consob la definizione di principi generali, utili come riferimento per gli organi amministrativi degli emittenti, cui compete l’obbligo di adottare regole di trasparenza e correttezza in materia di operazioni con parti correlate. La Consob però interpreta questo ruolo in modo piuttosto invasivo, proponendo regole di tipo strettamente procedurale cui i consigli di amministrazione non potranno che limitarsi ad aderire; inoltre, intende assegnare agli amministratori indipendenti, nella fase di definizione delle suddette regole, un ruolo determinante (ci si potrebbe addirittura chiedere: diverso o contrapposto a quello dell’organo amministrativo nella sua interezza?), individuando addirittura (sic) l’organo di controllo come organo deputato alla definizione delle stesse regole in assenza di amministratori indipendenti.
   Questa impostazione dell’Autorità muove da un presupposto non convincente, in quanto sembra trascurare che le “regole” di cui si tratta sono un fatto tipicamente gestorio, e quindi d’interesse di tutti gli amministratori e non solo di alcuni, essendo la “trasparenza” e la “correttezza sostanziale e procedurale” dell’attività imprenditoriale in qualunque impresa, ma vieppiù in un emittente quotato, un valore essenziale dal quale non si può prescindere. Non a caso, il Codice Civile correttamente rimette alla competenza dell’organo amministrativo la definizione delle regole di cui si tratta, e analogo principio è contenuto nel Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana, che nel commento afferma: «La concreta articolazione di questi o analoghi presidi non può che essere lasciata al potere di auto-regolamentazione del Consiglio – sia pure nel rispetto dei principi generali indicati dalla Consob ai sensi dell’art. 2391-bis del codice civile – in funzione della tipologia e della rilevanza, sotto il profilo economico e/o strategico, delle operazioni, nonché della natura ed estensione delle relazioni esistenti con le controparti».
   Al riguardo, in conclusione, non posso che convenire con chi (Montalenti) ha ritenuto che l’atecnicità dell’espressione utilizzata dalla Consob lascia spazio a troppe ambiguità (il “ruolo” infatti, come è stato notato, può configurarsi in termini di: poteri decisionali o autorizzatori ma anche di pareri obbligatori vincolanti o non vincolanti ovvero di pareri solo facoltativi). Forse un pò di chiarezza non guasterebbe: e in questo senso potrebbe essere più correttamente previsto che il consiglio di amministrazione deliberi le procedure previo parere favorevole del comitato per il controllo interno (se composto di soli indipendenti o quantomeno di soli non esecutivi la maggioranza dei quali indipendenti).
   Anche guardando poi in concreto ai compiti assegnati agli amministratori indipendenti – pur senza disconoscere l’importanza che tali amministratori hanno rivestito e rivestono per tutte le società emittenti – l’impostazione adottata dall’Autorità mi sembra non vada esente da critiche.
   I compiti attribuiti, in forza della disciplina regolamentare proposta, a tale “categoria” di amministratori sembrano infatti di nuovo non tenere conto che si tratta pur sempre di componenti del consiglio di amministrazione uguali agli altri, la cui missione non può risultare eccentrica rispetto a quella che l’ordinamento assegna all’organo di amministrazione nella sua collegialità.
   Come noto, nelle strutture societarie di dimensioni medio-grandi ed in particolare nelle società quotate – che sono le destinatarie della disciplina regolamentare in esame – il contenuto della funzione dell’organo di amministrazione tende sempre meno ad individuarsi nella gestione “diretta” dell’impresa per orientarsi verso compiti di sovrintendenza sulla struttura organizzativa della società e di definizione delle linee strategiche (di conduzione) dell’attività d’impresa. In tali società, al consiglio di amministrazione spetta, in sostanza, un ruolo di alta direzione strategica, essendo di sua competenza l’adozione delle decisioni più importanti sotto il profilo economico/strategico (piani strategici e investimenti/disinvestimenti significativi) o in termini di incidenza strutturale sulla gestione (nomina degli amministratori delegati) ovvero in quanto funzionali all’esercizio delle attività di controllo (verifiche sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo e amministrativo).
   In siffatto quadro, mentre può trovare giustificazione l’assegnazione della funzione di preventiva approvazione delle operazioni con parti correlate “rilevanti” ad un comitato composto di amministratori indipendenti (ovvero ad un suo componente, all’uopo delegato), meno giustificata è l’attribuzione di un ruolo più prossimo alla amministrazione day by day, per così dire, quale appare la conduzione di trattative negoziali. Il management operativo, invero, spetta, in via apicale, agli amministratori esecutivi e poi alle varie unità organizzative preposte alla gestione dell’impresa (e la cui responsabilità fa capo appunto a amministratori esecutivi). Sempre al management compete la scelta stessa di avviare o meno lo studio (prima) e le trattative (poi) per la realizzazione di qualunque iniziativa imprenditoriale della società, a prescindere dalla natura della controparte.
   Nel caso delle operazioni con parti correlate ciò che va invero assicurato è che l’articolazione organizzativa alla quale viene demandata la valutazione dell’operazione (i.e. comitato composto di amministratori indipendenti per le operazioni “rilevanti”, ovvero, ad esempio, comitato manageriale per quelle di minore significatività) riceva o comunque sia in possesso di informazioni adeguate a consentire l’assunzione delle decisioni in modo pienamente consapevole , potendosi, là dove ritenuto opportuno, avvalere del supporto di esperti indipendenti. Al riguardo, va segnalata la necessità che verso tale articolazione siano previsti specifici obblighi informativi, garantendo un flusso di informazioni tempestivo, completo ed esaustivo su tutti gli aspetti sostanziali rilevanti per le singole operazioni e sulla loro conduzione, con possibilità per i suoi componenti di chiedere, a seconda dei casi, agli amministratori esecutivi o ai dirigenti di volta in volta incaricati di seguire l’operazione più approfondite informazioni o dati ulteriori.
   Ove poi l’effettuazione dell’operazione ricada, per la sua natura o il suo valore, nella competenza di un singolo manager responsabile di unità operativa o di business ciò che è necessario garantire è che lo stesso sia consapevole dell’esigenza di rispettare i presidi procedurali e informativi in proposito adottati dalla società.
   In proposito, mi sembra utile ricordare che, nell’esperienza statunitense, mentre le listing rules del NYSE e del NASDAQ affidano alle società ogni decisione sulla scelta delle più opportune modalità di gestione delle operazioni in questione, nel Delaware la giurisprudenza ha riscontrato più accentuati rischi di violazione del duty of loyalty (dovere degli amministratori di non trarre dalle operazioni sociali benefici impropri) e del duty of care (dovere degli amministratori di assumere le proprie determinazioni dopo un’adeguata istruttoria) nei casi di management buy-out e di operazioni straordinarie (come la cessione di linee di business) con azionisti significativi, per tali intendendosi quelli che abbiano influito in maniera determinante sulla composizione del consiglio di amministrazione: in tali casi, è stata ritenuta dimostrazione efficace di diligenza la valutazione dell’operazione da parte di uno Special Committee, composto da amministratori indipendenti. Fatta eccezione per questi limitati casi, l’uso di uno Special Committee non è affatto usuale.
   Una simile impostazione deve se mai rimanere limitata, con carattere di assoluta eccezionalità, alle ipotesi in cui si verifichino esigenze di tutela e garanzia di livello molto superiore al normale. Ad esempio, questa esigenza può manifestarsi in operazioni infra-gruppo in cui sia (società) controllante che (società) controllata siano quotate, con conseguente necessità di specifica tutela dei due azionariati.
   Non va tuttavia dimenticato che la vigilanza del comitato composto da amministratori indipendenti (ad es. il comitato per il controllo interno) sulle operazioni con parti correlate può e deve essere esercitata non solo in sede di approvazione di specifiche operazioni ma in modo continuativo, anche relativamente a quelle iniziative che per le loro caratteristiche non rientrino tra quelle “rilevanti”. A tale riguardo, di grande utilità può a mio parere risultare la previsione di un obbligo di reporting continuativo (ovviamente con un’adeguata periodicità) dal management al comitato, che elenchi le operazioni superiori a una soglia minima poste in essere, consentendo così al comitato stesso non solo di vigilare ma di assumere un ruolo propositivo rispetto a nuove soluzioni procedurali da proporre al consiglio di amministrazione. E’ questa, ad esempio, la soluzione fatta propria da Telecom Italia nell’ambito dei principi per l’effettuazione di operazioni con parti correlate da essa adottati.

   4.3 Criteri per l’individuazione delle operazioni con parti correlate “rilevanti”
   Il ruolo centrale degli amministratori indipendenti, come sopra descritto, va inquadrato nel complesso della regolamentazione proposta dalla Consob, che in sintesi vuole rispondere ai due principali obiettivi che la precedente legislazione ha di volta in volta cercato di raggiungere. Il primo è quello di assicurare la trasparenza delle operazioni con parti correlate al fine di consentirne la compiuta conoscibilità e, dunque, il controllo (ex post). Il secondo obiettivo è quello di assoggettare a controllo (questa volta ex ante) quelle di tali operazioni che siano caratterizzate (per natura, strategicità o valore) da rilevante significatività.
   In tale prospettiva, credo peraltro che una corretta valutazione della normativa da introdurre debba preliminarmente superare l’impostazione stereotipa che attribuisce alle operazioni con parti correlate una valenza sostanzialmente negativa (in altri termini, le demonizza), omettendo di riconoscere che le stesse – si pensi ad esempio alle operazioni infra-gruppo – costituiscono modalità affatto fisiologiche dell’attività d’impresa. Credo che, se non si sgombra il campo da questo distorto e inconfessato presupposto, si rischi infatti di avventurarsi su percorsi del tutto errati.
   Altresì preliminarmente occorre considerare che la nuova regolamentazione si innesta in un ambito già ampliamente disciplinato, come ho già ricordato, da normative anche di fonte primaria. Ne consegue che nell’introduzione di nuove disposizioni dovrà aversi l’accortezza di evitare inutili quanto pericolose sovrapposizioni o di ridurre le tutele accordate dalla legge ad altri interessi parimenti meritevoli, con il risultato – esso sì non fisiologico – di appesantire l’attività delle società quotate con onerosi adempimenti procedurali e informativi, quando non addirittura di alterarne i normali processi decisionali.
   A tale riguardo, vorrei anzitutto manifestare il mio dissenso dalla posizione della Consob, volta a includere nella emananda disciplina tutte le operazioni compiute nel periodo di dodici mesi non solo con una parte correlata, ma altresì con soggetti alla stessa correlati. Tale posizione estende la regolamentazione a persone /enti che nulla hanno a che fare con la ratio sottesa a tutta la normativa finora emanata sul tema, creando in capo ai soggetti coinvolti complicazioni operative tali da impedire, potenzialmente, il perfezionamento di transazioni agli stessi favorevoli; ciò senza poi considerare la violazione della privacy che ne deriva.
   Inoltre, nella proposta Consob ampio risalto viene attribuito alla scelta di individuare parametri di tipo quantitativo per qualificare rilevanti alcune operazioni con parti correlate e, dunque, assoggettarle a procedure di approvazione particolarmente rigorose e a obblighi di informativa “continua” e “periodica”.
   Tale scelta trae origine dall’assunto che il criterio di natura “qualitativa” dettato al riguardo dall’art. 71-bis del Regolamento Emittenti avrebbe condotto, secondo l’Autorità, alla individuazione di un numero troppo limitato di operazioni “rilevanti”.
   Da ciò la stessa Autorità fa discendere un generale disvalore delle impostazioni di natura “qualitativa”. Infatti, la proposta oggetto di consultazione identifica come operazioni rilevanti le operazioni per le quali almeno uno degli indici indicati dalla stessa Consob risulti superiore al 5% o alla minore percentuale stabilita dalla società (10). Per tali operazioni sono stabilite da un lato una serie di regole vincolanti nell’adozione delle prescritte procedure istruttorie e deliberative, e dall’altro più stringenti obblighi informativi. Sotto quest’ultimo profilo, è prevista la pubblicazione di un documento informativo, redatto in conformità all’allegato 3B al documento di consultazione, dove l’operazione deve essere dettagliatamente descritta nelle sue caratteristiche, motivazioni economiche e modalità di fissazione del corrispettivo, con obbligo di riportare in allegato gli eventuali pareri degli amministratori indipendenti e degli esperti indipendenti.
   Dalla definizione di operazione rilevante possono essere escluse le operazioni realizzate con società controllate dall’emittente, solo però nel caso in cui in tali controllate non vi siano interessi di altre parti correlate (l’espressione di per sé non chiarissima circoscrive comunque a confini molto limitati l’applicabilità dell’esonero). Al contrario, la soglia del 5% è ridotta all’1% per le operazioni realizzate con il soggetto controllante da società caratterizzate da una separazione tra proprietà e controllo strutturalmente più elevata e dove sono, pertanto, presenti maggiori rischi di estrazione di benefici privati del controllo. Si fa in particolare riferimento alle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, alle società controllate da altre società quotate, alle società che hanno emesso azioni a voto limitato o senza diritto di voto e alle società il cui statuto prevede limiti al possesso azionario o al diritto di voto.
   Un tale approccio non pare invero pienamente condivisibile.
   Da un lato, l’utilizzo in via esclusiva di criteri di natura quantitativa non è di per sé idoneo – per la sua rigidità – a regolamentare in maniera ottimale la materia. Il rischio è infatti quello di non ricomprendere, nell’ambito delle operazioni rilevanti, con la conseguente applicazione della specifica disciplina regolamentare, operazioni che, pur sotto soglia, presentano profili di significatività (talvolta anche superiori a quelli di operazioni che vi ricadono solo in ragione dell’elevato controvalore). Il riferimento, ad esempio, è a operazioni di tipo strategico e ad accordi di collaborazione o contratti quadro, per i quali è difficile individuare un valore ovvero alle operazioni tra loro collegate nell’ambito di un medesimo disegno strategico o programma esecutivo. Sul punto non appare dirimente la previsione “di chiusura” contenuta nel “nuovo” Allegato 3I del Regolamento Emittenti contenuto nella proposta Consob. L’ Allegato, che individua nel dettaglio i criteri di tipo quantitativo per l’identificazione delle operazioni rilevanti, demanda alle singole società l’individuazione aggiuntiva di criteri di tipo qualitativo facendo almeno riferimento alle operazioni aventi ad oggetto attività immateriali ovvero a quelle atipiche e/o inusuali; tale previsione – stante l’enfasi assegnata in principio ai criteri di natura quantitativa – non appare di per sé idonea a stimolare l’adozione in via di autodisciplina di regolamentazioni efficaci.
   Non può sottacersi, poi, che l’utilizzo di parametri unicamente quantitativi può condurre a ricomprendere tra quelle “rilevanti” operazioni che non presentano alcun profilo di “anormalità”, e sono anzi connotate dal carattere dell’ordinarietà rispetto all’attività d’impresa (ciò che con un anglismo efficace, come ho in precedenza ricordato, si definisce “ordinary course of business”), per le quali pertanto non si giustifica l’adozione della rigorosa disciplina di natura procedurale ed informativa prevista.
   Appare invero incongruo sottoporre ad una discipina peculiare – in termini di competenza decisionale ed obblighi di disclosure – operazioni che rientrano nell’ordinaria attività aziendale e concluse a termini e condizioni predeterminate (perchè, ad esempio, fissate da una Autorità) ovvero nelle quali la scelta del contraente avviene ad esito di una procedura competitiva, o comunque concluse a condizioni di mercato.
Al riguardo, anche le Listing Rules inglesi, da cui la regolamentazione proposta dalla Consob trae chiaramente ispirazione, escludono dal novero delle operazioni con parti correlate da tenersi in considerazione quelle of a revenue nature rientranti nell’ordinary course of business.
   Passando al merito dei criteri di natura quantitativa indicati nel citato “nuovo” Allegato 3I, vi è in primo luogo da chiedersi se l’indice relativo al rapporto tra controvalore dell’operazione e capitalizzazione di borsa abbia una effettiva significatività, costituendo la capitalizzazione un dato mutevole in virtù e per effetto di fattori anche completamente “esterni” e non riconducibili alle attività sociali (e la crisi finanziaria di questi giorni ci conferma drammaticamente questa perplessità). Inoltre:
   – dovrebbe essere più chiaramente precisato a quali operazioni (ad esempio, acquisizioni e/o cessioni di partecipazioni; compravendite di beni e servizi; finanziamenti ecc.) debbano trovare applicazione i singoli indicatori di rilevanza previsti, al fine di evitare spinosi problemi interpretativi;
   – per quanto attiene specificamente all’indice di rilevanza del controvalore con riferimento ad operazioni con controparti bancarie andrebbe precisato che l’«ammontare pagato alla/dalla controparte contrattuale» va riferito all’ammontare delle commissioni o fees corrisposte alla banca, ovvero all’ammontare dei debiti verso la predetta banca e non invece al cd. “nozionale” delle operazioni, che di per sé non è significativo.
   Le soglie proposte (i.e. 5%) per giunta risultano non sufficientemente elevate se parametrate a società quotate a ridotta capitalizzazione ovvero che presentano bassi livelli di ricavi (ciò in particolare con riferimento all’applicazione, rispettivamente, degli indici di rilevanza “del controvalore” e “di acquisti e vendite di beni e servizi”).
   Tale criticità risulta amplificata con riferimento ai rapporti tra società quotate appartenenti a gruppi. Le operazioni con società controllate, infatti, sono esonerate solo «purchè in tali società non vi siano interessi di altre parti correlate, quali, ad esempio, quelli collegati al possesso di azioni e/o di strumenti finanziari partecipativi o da forme di remunerazione legate ai risultati delle medesime società». In tutti gli altri casi, si prevede l’applicazione della più rigorosa soglia dell’1%, con la conseguenza che ricadrebbero nel perimetro di applicazione della nuova disciplina anche ordinarie operazioni infragruppo, sia di natura finanziaria (frequenti in tutti i casi in cui la controllante gestisce la finanza di gruppo in modo accentrato) che tipicamente connaturate al business, indipendentemente dal fatto che tali operazioni siano state di fatto sempre concluse alternativamente (i) a condizioni standard o (ii) a condizioni dettate da un’Autorità ovvero (iii) a condizioni di mercato.

   4.4 Operazioni di competenza assembleare
   La regolamentazione proposta prevede che, per le operazioni con parti correlate la cui competenza decisionale sia propria dell’assemblea, le società alternativamente (i) applichino nella fase di approvazione della proposta tutele semplificate, che comunque prevedano quanto meno un preventivo parere degli amministratori indipendenti, adottando peraltro in assemblea meccanismi di votazione volti a evitare che la loro approvazione avvenga con il voto decisivo delle parti correlate o (ii) applichino all’approvazione della proposta per l’assemblea le procedure più rigorose, con l’intervento determinante degli amministratori indipendenti, lasciando poi libera l’assemblea di deliberare con le normali maggioranze di volta in volta previste.
   La prima procedura che, secondo quanto dichiarato dalla Consob, si ispirerebbe alle Listing Rules inglesi (c.d. procedura whitewash), ha suscitato in studiosi italiani del massimo livello molte perplessità, pubblicamente manifestate in occasione dell’incontro in cui la Consob ha presentato la sua proposta e successivamente trasmesse all’Autorità in risposta alla consultazione diffusa. I dubbi di legittimità in particolare riguardano la possibilità di incidere sulla formazione della volontà assembleare al di là di quanto già espressamente previsto dal codice civile in tema di conflitto d’interessi del socio (art. 2373). La disposizione, innovata in modo significativo dalla riforma del diritto societario, già disciplina la fattispecie contemperando in modo adeguato ed equilibrato il principio generale per cui nelle decisioni relative all’impresa societaria prevale la volontà di chi vi ha maggiormente investito e le esigenze di tutela delle minoranze dagli abusi della maggioranza. Si prevede infatti che la deliberazione approvata con il voto determinante di soci che abbiano, per conto proprio o di terzi, interessi in conflitto con quello della società sia impugnabile qualora possa recarle danno. Superare questa disciplina, impedendo tout court alla parte correlata di esprimere il proprio voto comporterebbe l’introduzione per via regolamentare di un’ipotesi ultra legem di inefficacia della deliberazione assembleare (voto determinante espresso dal socio portatore di un interesse anche non in conflitto con quello della società) aggiuntiva a quella prevista dal codice civile, vale a dire da una normativa di rango primario. Ciò che solleva più di un dubbio in punto di legittimità, sicchè dovrebbe semmai discutersi della possibilità per la società di adottare questa regola in via di autodisciplina, ad esempio in casi di particolare delicatezza. Ma v’è di più: come fatto correttamente notare (Montalenti) il rischio che può profilarsi – rischio concreto e non astratto, si badi bene – è quello che risulti impedito o comunque ostacolato alle società di porre in essere operazioni di rilevante importanza. E si sono menzionate, ad esempio, le ipotesi di aumento di capitale riservato alla società controllante (con esclusione dunque del diritto di opzione) ovvero di aumento di capitale infragruppo con conferimento di partecipazioni o rami d’azienda (cioè in natura).

Note

   (1) Cfr. Comunicazione Consob n. 93002422/1993.

   (2) Il riferimento è alle Comunicazioni Consob n. 97001574/1997 (“Raccomandazioni in materia di controlli societari”), n. 98015554/1998 (“Comunicazione in materia di informazioni di bilancio concernenti le operazioni con parti correlate”) e n. 1025564/2001 (“Comunicazione sui contenuti della relazione del collegio sindacale all'assemblea di cui agli artt. 2429, comma 3, del codice civile e 153, comma 1, del d.lgs. 58/98 - Scheda riepilogativa dell'attività di controllo svolta dai collegi sindacali”).

   (3) Il riferimento è alla delibera Consob n. 15519/2006 (“Disposizioni in materia di schemi di bilancio da emanare in attuazione dell’art. 9, comma 3, del decreto legislativo n. 38 del 28 febbraio 2005”).

   (4) Tale indicazione può essere omessa per singole voci qualora la presentazione non sia significativa ai fini della comprensione della posizione finanziaria e patrimoniale, del risultato economico e dei flussi finanziari dell’impresa e/o del gruppo.

   (5) Direttiva 2004/109/CE sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato.

   (6) Il riferimento è, ad esempio, all’acquisto di beni che vengono messi a disposizione del soggetto che ricopre la carica di amministratore: si pensi a un benefit, quale può essere un immobile a scopo di rappresentanza che viene concesso in uso all’amministratore.

   (7) Né sembra ammissibile ritenere che il presidente dell’organo collegiale possa escludere l’amministratore interessato dalla votazione, ancorché la delibera appaia potenzialmente dannosa e si tratti di voto determinante. Peraltro, nei casi di inosservanza degli obblighi di informazione e di motivazione (e, per l’amministratore delegato, di astensione), la deliberazione che può recare danno alla società e che sia stata assunta col voto determinante dell’amministratore interessato è impugnabile (entro novanta giorni dalla sua data) da parte degli amministratori o del collegio sindacale. L’impugnazione non può essere proposta dagli amministratori che abbiano consentito col proprio voto alla deliberazione (art. 2391, 3° comma).

   (8) Infatti, le già richiamate Comunicazioni Consob DAC/97001574 del 20.2.1997 e DAC/98015375 del 27.2.1998 in materia di controlli societari – che richiedevano alle società emittenti di inserire nella documentazione di bilancio apposite informazioni relativamente alle operazioni con parti correlate – facevano riferimento allo IAS 24 per la definizione di queste ultime.

   (9) Definizione di parte correlata ai sensi del Principio contabile internazionale IAS 24.
   Una parte è correlata a un’entità se:
   (a) direttamente o indirettamente, attraverso uno o più intermediari, la parte: (i) controlla l’entità, ne è controllata, oppure è soggetta al controllo congiunto (ivi incluse le entità controllanti, le controllate e le consociate); (ii) detiene una partecipazione nell’entità tale da poter esercitare un’influenza notevole su quest’ultima; o (iii) controlla congiuntamente l’entità;
   (b) la parte è una società collegata dell’entità (secondo la definizione dello IAS 28 Partecipazioni in società collegate);
   (c) la parte è una joint venture in cui l’entità è una partecipante (vedere IAS 31 Partecipazioni in joint ventures);
   (d) la parte è uno dei dirigenti con responsabilità strategiche dell’entità o la sua controllante;
   (e) la parte è uno stretto familiare di uno dei soggetti di cui ai punti (a) o (d);
   (f) la parte è un’entità controllata, controllata congiuntamente o soggetta ad influenza notevole da uno dei soggetti di cui ai punti (d) o (e), ovvero tali soggetti detengono, direttamente o indirettamente, una quota significativa di diritti di voto; o
   (g) la parte è un fondo pensionistico per i dipendenti dell’entità, o di una qualsiasi altra entità ad essa correlata.
   Si considerano familiari stretti di un soggetto quei familiari che ci si attende possano influenzare, o essere influenzati, dal soggetto interessato nei loro rapporti con l’entità. Essi possono includere:
   (a) il convivente e i figli del soggetto; (b) i figli del convivente; e (c) le persone a carico del soggetto o del convivente.
   Le seguenti situazioni non rappresentano necessariamente parti correlate:
   (a) due entità, per il solo fatto di avere in comune un amministratore o un altro dirigente con responsabilità strategiche, nonostante quanto esposto ai punti (d) e (f) nella definizione di «parte correlata»;
   (b) due entità partecipanti, per il solo fatto di detenere il controllo congiunto in una joint venture.
   (c) (i) finanziatori; (ii) sindacati; (iii) imprese di pubblici servizi; e (iv) agenzie e dipartimenti pubblici, solo in ragione dei normali rapporti d’affari con l’entità (sebbene essi possano circoscrivere la libertà di azione dell’entità o partecipare al suo processo decisionale); e
   (d) un singolo cliente, fornitore, franchisor, distributore o agente generale con il quale l’entità effettua un rilevante volume di affari, unicamente in ragione della dipendenza economica che ne deriva.

   (10) Gli indici di rilevanza sono i seguenti:
   a) Indice di rilevanza del controvalore: è il rapporto tra il controvalore dell’operazione e la capitalizzazione media degli ultimi sei mesi delle azioni della società.
   b) Indice di rilevanza dell’attivo: è il rapporto tra il totale attivo dell’entità oggetto dell’operazione e il totale attivo della società.
   c) Indice di rilevanza degli utili: è il rapporto tra gli utili ante imposte attribuibili all’entità oggetto dell’operazione e gli utili ante imposte della società.
   d) Indice di rilevanza delle passività: è il rapporto tra il totale delle passività dell’entità acquisita e il totale attivo della società.
   e) Indice di rilevanza di acquisti e vendite di beni e servizi: è il rapporto tra il corrispettivo dell’operazione e i ricavi della società.

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Rivista diretta da Giovanni Cabras e Paolo Ferro-Luzzi