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VIII.1– gennaio-giugno 2009 |
GIURISPRUDENZA
TAR LAZIO, I sez., ordin. 27 maggio 2009, n. 684; Pres. Giovannini – Rel. Caponigro – Aerofly ed altri c. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed Alitalia
Ne.
(Omissis)
La Società ricorrente premette di operare nel trasporto aereo di linea in concorrenza, tra gli altri, con le Società Alitalia ed AirOne, per cui ritiene di essere titolare di un interesse legittimo al corretto esercizio del potere amministrativo in merito ad operazioni di concentrazione relative ai suoi principali concorrenti e di avere interesse ad impugnare i provvedimenti che assegnino vantaggi ad essi.
Con l’impugnato provvedimento adottato nell’adunanza del 3 dicembre 2008, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – vista la comunicazione della società CAI S.p.a., si sensi dell’art. 4, co. 4 quinquies del decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347, recante “Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza” convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dal decreto legge 28 agosto 2008, n. 134, convertito con modificazioni in legge dall’art. 1, co. 1, legge 27 ottobre 2008, n. 166, con la quale la società ha notificato preventivamente l’operazione di concentrazione relativa all’acquisizione di alcuni rami d’azienda delle società Alitalia Linee Aeree Italiane S.p.a. in amministrazione straordinaria, Alitalia Servizi S.p.a. in amministrazione straordinaria, Alitalia Airport S.p.a. in amministrazione straordinaria, Alitalia Express S.p.a. in amministrazione straordinaria, Volare S.p.a. in amministrazione straordinaria (gruppo AZ) e delle società AirOne S.p.a., AirOne City Liner S.p.a., European Avia Service S.p.a., Air One Technic S.p.a. e Challey Ltd (gruppo AP) - ha deliberato di rendere obbligatorie alcune misure comportamentali per prevenire il rischio di imposizione di prezzi ed altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori a seguito dell’operazione, fissando al 3 dicembre 2011 la data prima della quale sarà stabilito il successivo termine, di cui all’art. 1, co. 10, del decreto legge 28 agosto 2008, n. 134, come modificato dalla legge di conversione, entro il quale le posizioni di monopolio eventualmente determinatesi a seguito dell’operazione devono cessare, previo avvio di idoneo procedimento istruttorio.
La ricorrente, ritenendo che all’esito di tale provvedimento sia stata ammessa un’operazione di concentrazione in violazione dei principi basilari in tema di concorrenza e di garanzia del mercato, ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi di impugnativa:
VIZI ATTINENTI AI CONTENUTI DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO.
• Illegittimità degli atti impugnati, per illegittimità del D.L. 28 agosto 2008, n. 134, conv. in L. 27 ottobre 2008, n. 166 (c.d. decreto Alitalia).
Il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in quanto adottato in applicazione di una disciplina legislativa a sua volta viziata per illegittimità costituzionale. In particolare, sussisterebbe la violazione dei principi sulla concorrenza, rappresentati nella libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. che trovano riscontro anche nell’art. 117 Cost. La disciplina, infatti, inibirebbe i controlli antitrust sulle concentrazioni tra imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, determinando una situazione di mercato idonea a produrre extraprofitti a favore del soggetto egemone, con grave pregiudizio dei concorrenti e dei consumatori.
Lo strumento legislativo risulterebbe utilizzato per introdurre una disciplina che nessun atto amministrativo avrebbe potuto tollerare per il suo carattere oggettivamente discriminatorio a danno degli altri operatori del settore aereo. La disciplina legislativa avrebbe introdotto una disparità di trattamento irragionevole, perché in contrasto con valori costituzionali di rilievo, come quello della concorrenza, per cui si configurerebbe la violazione dell’art. 3 Cost. e la violazione risulterebbe ancora più palese per il fatto che il legislatore sarebbe intervenuto sostanzialmente con una legge-provvedimento.
La ricorrente ha pertanto chiesto che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 10, d.l. 23 agosto 2008, n. 134, conv. in l. 27 ottobre 2008, n. 166, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost.
• Illegittimità degli atti impugnati, per violazione del d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, e succ. mod. e del d.l. 28 agosto 2008, n. 134, conv. in l. 27 ottobre 2008, n. 166.
Il provvedimento impugnato non rispetterebbe neppure la disciplina e i vincoli imposti dalla legislazione in materia di amministrazione straordinaria. L’eccezione alla necessità di previa autorizzazione dell’operazione di concentrazione sarebbe limitata alle “imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali” e, ai sensi dell’art. 1 L. 146/1990, solo i servizi aerei per il collegamento con le isole potrebbero essere considerati “servizi pubblici essenziali”, così come, al momento di concludere l’operazione CAI non avrebbe disposto nemmeno di una concessione ad esercitare l’attività di trasporto aereo, sicché la concentrazione non rientrerebbe nell’ambito di applicazione della legge e l’Autorità conserverebbe pieni poteri di verifica degli effetti anticoncorrenziali dell’operazione sul mercato.
Al momento della comunicazione dell’operazione, inoltre, Alitalia non avrebbe posseduto i requisiti di solidità finanziaria richiesti, considerato che il 29 agosto 2008, aveva chiesto la dichiarazione dello stato di insolvenza e l’ammissione all’amministrazione straordinaria e che il 5 settembre era stato dichiarato il suo stato di insolvenza, ed avrebbe posseduto esclusivamente una licenza provvisoria concessa il 2 settembre 2008 e valida fino al 1° marzo 2009.
• Illegittimità degli atti impugnati, per violazione dell’art. 86 del Trattato CE: illegittimità degli atti impugnati, perché fondati su norme di diritto interno da disapplicare per il loro contrasto con il diritto comunitario.
Il provvedimento impugnato sarebbe stato emanato sulla base di una normativa nazionale in contrasto con le norme comunitarie ed i principi del Trattato CE, per cui sarebbe illegittimo in quanto emanato in ragione di una normativa nazionale che sarebbe dovuto essere disapplicata.
Sussisterebbe la violazione dell’art. 86 del Trattato CE e, in particolare, della deroga contenuta nell’art. 86, par. 2, perché il “decreto Alitalia” avrebbe attribuito a CAI un monopolio ex lege, non sindacabile da parte della competente Autorità di concorrenza, non giustificato dallo svolgimento di servizi di interesse generale. Anche volendo ipotizzare che ai soggetti coinvolti nell’operazione fosse stato affidato formalmente un identificabile servizio di interesse economico generale, non sarebbe chiaro come l’applicazione della legge nazionale sul controllo delle concentrazioni avrebbe potuto ostacolare la prestazione di tale specifico servizio e come l’assicurazione di un periodo minimo di tre anni di un monopolio ex lege possa essere considerato necessario a tal fine. Né la circostanza che l’operazione in discorso non abbia dimensione comunitaria potrebbe escludere l’applicabilità dell’art. 86 del Trattato in quanto la violazione contestata consisterebbe nella creazione di una situazione di monopolio non sottoposta ad una valutazione degli effetti anticoncorrenziali e non giustificata da preminenti interessi economici generali.
La ricorrente, in via subordinata, ha chiesto che sia sottoposta alla Corte di giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, la questione se l’art. 1, co. 10, l. 166/2008, il quale crea un monopolio o quasi monopolio legale su rotte fortemente commerciali, possa essere considerato una misura necessaria e proporzionata, ai sensi dell’art. 86 del Trattato, e in particolare del suo par. 2, per assicurare lo svolgimento di servizi di interesse economico generale su tratte onerate da obblighi di servizi pubblici, senza che gli scambi comunitari siano pregiudicati in misura contraria agli interessi della Comunità.
• Illegittimità degli atti impugnati, perché fondati su norme di diritto interno da disapplicare per il loro contrasto con gli artt. 3, lett. g), 10 e 82 del Trattato.
Sussisterebbe la violazione del combinato disposto delle norme comunitarie in epigrafe in quanto l’acquisto, da parte di CAI, di Alitalia e di AirOne comporterebbe un’ipotesi di sfruttamento abusivo di posizione dominante determinato da un comportamento dello Stato. La Corte di Giustizia avrebbe dichiarato che può costituire abuso, in violazione dell’art. 82, il fatto che un’impresa in posizione dominante rafforzi tale posizione tramite l’incorporazione di un concorrente, al punto che il grado di dominio così raggiunto rappresenti un sostanziale ostacolo per la concorrenza. Il rafforzamento di una posizione dominante, insomma, potrebbe costituire di per sé stesso un abuso di posizione dominante, ove ostacoli la concorrenza in maniera sostanziale. L’Autorità avrebbe avuto il potere-dovere di esaminare la questione anche sotto il profilo dell’art. 82 e dell’effetto utile.
In subordine, ha chiesto che sia sottoposta alla Corte di giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, la questione se la emanazione di una legge nazionale che induca un soggetto ad abusare della sua posizione dominante tramite l’acquisto del suo principale concorrente sia contraria al principio di effetto utile delle norme del Trattato e debba essere, pertanto, disapplicata.
• Illegittimità degli atti impugnati, per incompetenza dell’Autorità garante a valutare l’operazione di concentrazione.
La valutazione dell’operazione di concentrazione sarebbe stata di competenza della Commissione Europea in quanto: sussisterebbe una situazione di controllo congiunto di fatto su CAI; CAI sarebbe una scatola vuota e, quindi, le “imprese interessate” ai fini del calcolo del fatturato sarebbero i singoli soci di CAI; l’acquisto di Alitalia ed AirOne da parte di CAI e l’ingresso di un partner straniero in CAI dovrebbero essere valutati alla stregua di operazioni interdipendenti, ai sensi del Regolamento CE n. 139/04.
In subordine, ha chiesto che sia sottoposta alla Corte di giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, la questione se: una situazione di controllo congiunto di fatto possa sussistere nel caso sia provata l’esistenza di una forte comunione di interessi; nel caso di acquisto del controllo congiunto tramite una “scatola vuota” imprese interessate debbano considerarsi le imprese madri e non la società veicolo; l’acquisto del controllo di CAI e l’ingresso del socio straniero debbano essere considerati quale unica operazione di concentrazione.
• Illegittimità degli atti impugnati, in relazione ai caratteri e ai contenuti degli “obblighi imposti”.
L’Autorità, come da previsione legislativa, ha esaminato le misure comportamentali proposte da CAI per verificare la loro idoneità a scongiurare il rischio di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori, ma gli impegni imposti sarebbero incongrui rispetto a tale finalità. Il compito demandato all’Autorità dalla norma di legge non sarebbe stato quello di far salvi pochi consumatori avveduti, ma di tutelare i consumatori nel loro complesso dall’esercizio di un potere di mercato sottratto all’ordinario presidio antitrust.
L’Avvocatura dello Stato ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione ad agire, atteso che le misure comportamentali previste dal D.L. 134/2008 sono, per espressa previsione normativa, a tutela dei consumatori; nel merito, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del gravame.
L’Alitalia – Compagnia Aerea Italiana S.p.a. ha proposto ricorso incidentale condizionato avverso il provvedimento impugnato per l’ipotesi in cui questo Tribunale dovesse accogliere, anche solo parzialmente, le censure dedotte nei confronti della decisione autorizzatoria dell’Autorità.
Il ricorso incidentale condizionato, premesso che l’Autorità non avrebbe correttamente esaminato l’impatto dell’operazione sottoposta al suo scrutinio avendo erroneamente definito il mercato rilevante, è articolato nei seguenti motivi d’impugnativa:
• Eccesso di potere, difetto di motivazione, contraddizione intrinseca e contrarietà alla prassi nazionale e comunitaria con riferimento alla definizione del mercato rilevante quanto alla sostituibilità fra aeroporti.
I tre scali del comprensorio del capoluogo lombardo (Malpensa, Linate e Orio al Serio) sarebbero intercambiabili tra loro, per cui l’analisi concorrenziale dovrebbe essere condotta con riferimento a mercati rilevanti identificati con i collegamenti tra la catchment area milanese (che ricomprende i tre scali indicati) e la catchment area dei luoghi di destinazione; analoghe considerazioni varrebbero per il sistema aeroportuale di Roma che includerebbe sia l’aeroporto di Fiumicino che quello di Ciampino.
• Eccesso di potere, difetto di motivazione contrarietà alla prassi comunitaria e difetto di istruttoria con riferimento alla definizione del mercato rilevante quanto alla concorrenza intermodale.
Il provvedimento non avrebbe correttamente valutato un altro essenziale parametro di analisi concorrenziale, la c.d. concorrenza intermodale, atteso che su tratte di media lunghezza è plausibile che il treno costituisca l’alternativa prevalente all’aereo.
• Ulteriori vizi dell’analisi svolta nel provvedimento: violazione di legge, eccesso di potere, violazione del principio di proporzionalità, difetto di istruttoria e di motivazione.
La valutazione sarebbe dovuta essere limitata ai mercati in cui, a seguito dell’operazione, si sarebbero potute creare situazioni di monopolio.
L’Autorità non avrebbe dovuto subordinare l’autorizzazione al rispetto di rimedi aggiuntivi rispetto a quelli proposti da Alitalia – CAI in quanto tali rimedi addizionali sarebbero privi di fondamento e sproporzionati.
Nel merito, la controinteressata, con ampia ed articolata memoria, ha
contestato la fondatezza delle censure dedotte.
La ricorrente ha depositato altra memoria, con cui ha contestato la fondatezza delle censure proposte da Alitalia – Compagnia Aerea Italiana S.p.a. con il ricorso incidentale condizionato, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
All’udienza pubblica del 20 maggio 2009, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione ad agire formulata dall’Avvocatura dello Stato è infondata.
Il diritto al ricorso nel processo amministrativo sorge in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale e tende ad un provvedimento giurisdizionale idoneo, se favorevole, a rimuovere quella lesione.
Condizioni soggettive per agire in giudizio sono la legittimazione ad agire (detta anche legittimazione processuale) e l’interesse a ricorrere: la prima spetta a colui che affermi di essere titolare della situazione giuridica sostanziale in ipotesi ingiustamente lesa dal provvedimento amministrativo, mentre l’interesse al ricorso consiste in un vantaggio pratico e concreto, anche soltanto eventuale o morale, che può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa.
La possibilità di proporre un’azione impugnatoria di provvedimenti amministrativi, al di là di specifiche ipotesi contemplate dalla legge, non è concessa a chiunque in qualità di cittadino intenda censurare l’esercizio del potere pubblico, vale a dire uti cives, ma soltanto al titolare di una posizione di interesse legittimo e cioè di una posizione qualificata e differenziata rispetto alla posizione di tutti gli altri membri della collettività, vale a dire uti singulus.
La posizione legittimante alla proposizione del ricorso, quindi, è caratterizzata dalla differenziazione e dalla qualificazione.
La prima qualità può discendere dall’atto amministrativo quando esso incide immediatamente nella sfera giuridica del soggetto ovvero può rinvenirsi nel collegamento tra la sfera giuridica individuale ed il bene della vita oggetto della potestà pubblica quando l’atto esplica effetti diretti nella sfera giuridica altrui e, in ragione di tali effetti, è destinato ad interferire sulla posizione sostanziale del ricorrente.
Peraltro, ai fini della configurazione della posizione sostanziale legittimante l’azione, non è sufficiente che sussista un qualsiasi interesse differenziato, rispetto a quello di altri soggetti, al corretto esercizio del potere amministrativo, ma è necessario anche che l’interesse individuale sia qualificato, sia cioè considerato dalla norma attributiva del potere, nel senso che tale norma o l’ordinamento nel suo complesso deve prendere in considerazione oltre l’interesse pubblico che è precipuamente preordinata a soddisfare anche l’interesse individuale privato su cui va ad incidere l’azione amministrativa.
Nella fattispecie in esame, la posizione dell’impresa ricorrente, in quanto concorrente delle imprese che hanno posto in essere l’operazione di concentrazione, è ovviamente differenziata, mentre occorre indagare sulla sua qualificazione.
L’art. 4, co. 4 quinquies, D.L. 347/2003 prevede che le misure comportamentali che l’Autorità deve prescrivere sono finalizzate a prevenire il rischio di imposizione di prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori in conseguenza dell’operazione, per cui la norma attributiva del relativo potere ha avuto in considerazione l’interesse dei consumatori e non anche quello dei concorrenti con la conseguenza che, difettando sotto tale profilo la qualificazione della posizione, le censure proposte avverso le misure comportamentali prescritte dall’Autorità si rivelano inammissibili per carenza di legittimazione.
Diversamente, con gli altri motivi di impugnativa, la ricorrente non mira a censurare le prescrizioni comportamentali individuate dall’Autorità a tutela dei consumatori, ma intende mettere in discussione la legittimità della stessa operazione di concentrazione, operazione presupposta dal provvedimento in quanto consentita dalla norma di legge.
Sotto tale profilo, le censure proposte sono senz’altro ammissibili in quanto la ricorrente ha ovviamente una posizione non solo differenziata ma anche qualificata, in ragione della finalità della disciplina legislativa in materia di concentrazione dettata anche e soprattutto a tutela della libertà di concorrenza tra le imprese.
D’altra parte, ove si disconoscesse la sussistenza della legittimazione ad agire in capo ad un’impresa concorrente, si arriverebbe alla paradossale e non accettabile conclusione che, a fronte di un’operazione di concentrazione disposta dalla legge in “deroga” alla normale disciplina in materia, le imprese concorrenti sarebbero prive di ogni forma di tutela giurisdizionale.
2. L’art. 4, co. 4 quinquies, del decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito in legge, con modificazioni, con legge 18 febbraio 2004, n. 39, aggiunto dall’art. 1, co. 10, decreto legge 28 agosto, n. 134, come modificato, dalla legge di conversione 27 ottobre 2008, n. 166, ha previsto che, con riferimento alle imprese di cui all’art. 2, co. 2, secondo periodo (imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali), le operazioni di concentrazione, effettuate entro il 30 giugno 2009, connesse o contestuali o comunque previste nel programma debitamente autorizzato di cui al comma 2 dello stesso articolo, ovvero nel provvedimento di autorizzazione di cui al primo comma dell’art. 5, rispondono a preminenti interessi generali e sono escluse dalla necessità dell’autorizzazione dell’autorizzazione di cui alla L. 287/1990, fermo quanto previsto dagli artt. 2 e 3 della stessa legge; fatto salvo quanto previsto dalla normativa comunitaria, qualora le suddette operazioni di concentrazione rientrino nella competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, le parti sono, comunque, tenute a notificare preventivamente le suddette operazioni all’Autorità unitamente alla proposta di misure comportamentali idonee a prevenire il rischio di imposizione di prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori in conseguenza dell’operazione; l’Autorità, con propria deliberazione adottata entro trenta giorni dalla comunicazione dell’operazione, prescrive le suddette misure con le modificazioni ed integrazioni ritenute necessarie e definisce altresì il termine, comunque non inferiore a tre anni, entro il quale le posizioni di monopolio eventualmente determinatesi devono cessare; in caso di inottemperanza si applicano le sanzioni di cui all’art. 19 della L. 287/1990.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell’adunanza del 3 dicembre 2008, ha deliberato:
• di rendere obbligatoria la misura comportamentale relativa al programma di fidelizzazione di cui paragrafo 25, con cui la CAI si è impegnata a garantire su tutte le rotte piena e ampia copertura del proprio programma di fidelizzazione (frequent flyer), salvo specifiche iniziative promozionali relative alla commercializzazione una tantum di particolari tariffe scontate su rotte sulle quali si registra un significativo livello di concorrenza;
• di integrare la misura precedente nei termini descritti ai paragrafi 36, 37 e 38, vale a dire che CAI: garantisca che i propri listini tariffari mantengano un’articolazione tale da assicurare ampia copertura rispetto a tutti i segmenti di mercato, con particolare riguardo alle tariffe scontate che dovranno essere adeguatamente accessibili in tutti i periodi dell’anno, per tutte le rotte, su ogni volo; dovrà garantire su ogni volo la disponibilità di almeno il 10% dei biglietti alla tariffa economy più conveniente tra quella offerta dal gruppo AZ e dal gruppo AP sulla medesima rotta, nella corrispondente stagione IATA precedente; si adoperi ad attivare, entro un mese dall’inizio dell’operatività del nuovo vettore aereo, un numero verde gratuito dedicato alla gestione dei disservizi in caso di cancellazione o grave ritardo dei voli, nonché uno spazio informativo sul sito web della società dedicato all’andamento dell’operativo dei voli, da cui sia desumibile per il consumatore, lo stato del proprio volo in relazione a cancellazione e ritardi; attivi un servizio di messaggistica per telefonia mobile, che garantisca in tempo reale la piena disponibilità delle informazioni sul volo ai consumatori che ne facciano richiesta; garantisca, al di là di quanto reso obbligatorio dal regolamento comunitario 261/2004/CE, il pagamento di un indennizzo, proporzionale al prezzo del biglietto pagato, in caso di cancellazione del volo per i passeggeri che non ricevano adeguata riprotezione (arrivo a destinazione non oltre 2 ore successive all’orario previsto di atterraggio) o nel caso di ritardo prolungato del volo che comporti l’atterraggio del passeggero a destinazione oltre 2 ore successive all’orario previsto;
• alle misure di cui ai punti precedenti la società CAI dia applicazione per un periodo di tre anni dalla data di inizio delle attività della stessa società;
• di fissare al 3 dicembre 2011 la data prima della quale sarà stabilito il successivo termine, di cui all’art. 1, co. 10, del decreto legge 28 agosto 2008, n. 134, come modificato dalla relativa legge di conversione, entro il quale le posizioni di monopolio eventualmente determinatesi a seguito dell’operazione devono cessare, previo avvio di idoneo procedimento istruttorio.
La ricorrente ha articolato una pluralità di doglianze, deducendo sia l’illegittimità dell’atto per vizi propri, di carattere sostanziale o derivanti dalla violazione di norme comunitarie, sia l’illegittimità dell’atto in via derivata dall’illegittimità costituzionale della norma di legge applicata.
3. I motivi di impugnativa con cui sono stati dedotti vizi propri dell’atto sono in parte infondati ed in parte inammissibili.
3.1 Il Collegio ha già rilevato l’inammissibilità per carenza di legittimazione delle doglianze afferenti ai caratteri e ai contenuti degli “obblighi imposti”, ossia delle misure comportamentali idonee a prevenire il rischio di imposizione di prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori in conseguenza dell’operazione.
3.2 La doglianza afferente alla circostanza che, non trattandosi di imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, la concentrazione non rientrerebbe nell’ambito di applicazione della legge e l’Autorità conserverebbe pieni poteri di verifica degli effetti anticoncorrenziali dell’operazione sul mercato non può essere condivisa.
In primo luogo, occorre considerare che, ai sensi della L. 146/1990, sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire, tra l’altro, il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati alla libertà di circolazione e che, per quanto concerne la tutela della libertà di circolazione, la legge, sia pure a determinati fini, indica i trasporti pubblici urbani ed extraurbani, autoferrotranviari, ferroviari, aerei, aeroportuali e quelli marittimi limitatamente al collegamento con le isole.
Di talché, essendo la limitazione al collegamento con le isole riferita esclusivamente ai trasporti marittimi, il servizio di trasporto aereo, già nella disciplina legislativa del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, è qualificabile come servizio pubblico essenziale.
La circostanza che CAI, al momento di concludere l’operazione, non disponesse nemmeno di una concessione ad esercitare l’attività di trasporto aereo, inoltre, non può assumere un rilievo sostanziale in sede di interpretazione della norma, in quanto costituisce fatto notorio, ripetutamente sottolineato dalla stessa ricorrente, che la norma di legge sia stata emanata proprio con riferimento alla vicenda “Alitalia”, tanto che la ricorrente indica la fonte legislativa come “decreto Alitalia” e qualifica la stessa come legge singolare o legge provvedimento.
Pertanto, non può nutrirsi alcun dubbio che la voluntas legis sia stata quella di consentire la concentrazione in un’unica compagnia aerea dei due principali operatori aerei del mercato nazionale, Alitalia ed AirOne, a prescindere dal procedimento relativo alle operazioni di concentrazione, che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è tenuta ordinariamente a svolgere, ai sensi degli artt. 5, 6 e 16 della L. 287/1990, e che potrebbe concludersi anche con il divieto dell’operazione.
3.3 La complessa censura - con cui è stata contestata la competenza dell’Autorità nazionale in quanto, per un verso, la valutazione dell’operazione di concentrazione sarebbe stata di competenza della Commissione Europea sussistendo una situazione di controllo congiunto di fatto su CAI, per altro verso, l’acquisto di Alitalia ed AirOne da parte di CAI e l’ingresso di un partner straniero in CAI dovrebbero essere valutati alla stregua di operazioni interdipendenti, ai sensi delle norme di competenza di cui al Regolamento CE n. 139/04 (c.d. Regolamento Merger) - non è persuasiva.
Il Collegio, premesso che nel caso di specie non sussiste un’ipotesi di controllo di diritto ed anche a prescindere dal fatto che la Commissione europea, pur a conoscenza della vicenda, non ha sollevato osservazioni sulla competenza dell’Autorità nazionale, rileva che la Comunicazione consolidata della Commissione sui criteri di competenza giurisdizionale a norma del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, fornisce utili indicazioni per rilevare l’eventuale presenza di un controllo congiunto di fatto sul soggetto giuridico derivante dall’operazione di concentrazione.
In particolare, il punto 76 della Comunicazione indica che “eccezionalmente una condotta comune può verificarsi di fatto, laddove tra gli azionisti di minoranza esistano interessi comuni talmente forti da impedire uno scontro nell’esercizio dei diritti di voto nel contesto dell’impresa comune. Quanto più elevato è il numero delle imprese madri dell’impresa comune, tanto più diminuisce la probabilità che tale situazione si verifichi”.
Da tale indicazione, può già cogliersi che il controllo congiunto di fatto costituisce una circostanza eccezionale e che un consistente numero di soggetti tra cui è distribuito il capitale sociale dell’impresa comune (il capitale sociale di CAI, al momento dell’adozione del provvedimento, risultava ripartito tra 16 persone giuridiche) rende poco probabile il verificarsi della situazione.
Il successivo punto 27 fa presente che “indicativo per una comunanza di interessi di questo tipo è un elevato grado di dipendenza reciproca tra le società madri per raggiungere gli obiettivi strategici dell’impresa comune. Ciò avviene in particolare quando ciascuna impresa madre fornisce all’impresa comune un contributo indispensabile al suo funzionamento (tecnologie specifiche, know-how specializzato o accordi di fornitura). In tali circostanze, anche qualora non siano esplicitamente previsti diritti di veto, le imprese madri sono in grado di bloccare le decisioni strategiche dell’impresa comune e, pertanto, possono gestirla in spirito di piena cooperazione solo a condizione di essere d’accordo su tali decisioni strategiche. Le società madri dovranno pertanto cooperare. Ulteriori fattori sono i processi decisionali strutturati in modo da permettere alle società madri di esercitare il controllo congiunto anche in assenza di accordi espliciti che conferiscano diritti di veto o di altri collegamenti tra gli azionisti di minoranza relativi all’impresa comune”.
Nel caso di specie, non è stata dimostrata la sussistenza di nessuna delle due ipotesi esemplificativamente prospettate dalla Commissione, atteso che non risulta che ciascuna delle società tra cui è diviso il capitale sociale di CAI fornisce un contributo indispensabile al suo funzionamento in termini di tecnologie specifiche, know how specializzato o accordi di fornitura, né risulta che i processi decisionali siano stati strutturati in modo tale da permettere l’esercizio del controllo congiunto.
Anzi, la Comunicazione, al punto 79, fa presente che “questi criteri si applicano alla costituzione di una nuova impresa comune nonché alle acquisizioni di partecipazioni azionarie di minoranza, che conferiscono assieme il controllo congiunto. Nel caso di acquisizioni di partecipazioni, vi è una maggiore probabilità di una comunanza di interessi se le partecipazioni azionarie vengono acquisite mediante un’azione concordata. Tuttavia, un’acquisizione mediante un’azione concordata non è di per sé sufficiente per instaurare un controllo congiunto di fatto. In generale, un interesse comune al rendimento dell’investimento in quanto investitori finanziari in (o creditori di) un’impresa non costituisce una comunanza di interessi che determina un controllo congiunto di fatto”.
In definitiva, l’orientamento della Commissione Europea è che un’acquisizione mediante un’azione concordata non costituisce una comunanza di interessi che determina un controllo congiunto di fatto in assenza di altri elementi oggettivamente rilevanti che, nella fattispecie in esame, non sembrano sussistere.
Infatti, nel provvedimento, al par. 27, è evidenziato che “dai documenti e dalle informazioni in possesso dell’Autorità risulta che, allo stato, CAI non è controllata da alcuno degli attuali azionisti, dal momento che non si ravvisano maggioranze prestabilite, alla luce dello Statuto e in assenza di patti parasociali” ed inoltre, al par. 8, che “la maggioranza necessaria ai fini dell’adozione delle decisioni gestionali può … essere formata da diverse combinazioni di voto dei 15 consiglieri espressione dei gruppi di interesse degli azionisti, configurando quella che viene definita una maggioranza variabile (shifting majority)”.
Per quanto attiene all’ingresso nella società di un partner straniero, il Collegio fa presente che, al momento dell’adozione del provvedimento, tale circostanza non avrebbe potuto rilevare ai fini della qualificazione dell’operazione come di dimensione comunitaria anziché nazionale, atteso che il Consiglio di Amministrazione di CAI non aveva assunto alcuna decisione in merito alla scelta.
D’altra parte, è stato precisato al par. 10 del provvedimento che “laddove l’attuale composizione della compagine azionaria e, conseguentemente, l’assetto di controllo di CAI dovessero mutare in modo tale da configurare l’operazione in esame come una diversa fattispecie concentrativa, l’Autorità si riserva di procedere ad una valutazione dell’operazione, anche ai fini di definire la competenza giurisdizionale”.
3.4 I motivi d’impugnativa con cui la ricorrente ha dedotto che il provvedimento sarebbe stato emanato sulla base di una normativa nazionale in contrasto con le norme comunitarie ed i principi del Trattato CE, per cui sarebbe illegittimo in quanto emanato in ragione di una normativa nazionale da disapplicare, non possono essere condivise.
La ricorrente ha dedotto in particolare il contrasto con l’art. 86 e con gli artt. 3, lett. g), 10 e 82 del Trattato.
L’art. 86 prevede che gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del Trattato, specialmente a quelle contemplate dagli artt. 12 e da 81 a 89 inclusi; le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del Trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata; lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità; la Commissione vigila sull’applicazione delle disposizioni dell’articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni.
Il Collegio rileva che la norma nazionale di cui all’art. 4, co. 4 quinquies, non inibisce in assoluto i controlli a tutela della concorrenza e del mercato, ma ne disciplina transitoriamente il loro esercizio con modalità diverse, escludendo in particolare la necessità dell’autorizzazione delle operazioni di concentrazione, di cui alla L. 287/1990, nel settore dei servizi pubblici essenziali per le operazioni effettuate entro il 30 giugno 2009.
Diversamente, resta ferma sia l’applicazione degli artt. 2 (divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza) e 3 (divieto di abuso di posizione dominante) della L. 287/1990, sia l’applicazione della normativa comunitaria.
Nella fattispecie, lo Stato italiano non ha riconosciuto alle imprese, o, meglio, all’impresa di nuova costituzione, un diritto esclusivo, atteso che non ha attribuito a CAI una riserva ex lege di fornire i servizi di trasporto aereo nel territorio nazionale, ma ha attribuito alla stessa un diritto speciale in quanto l’operazione di concentrazione Alitalia – AirOne è stata sottratta all’applicazione della normativa nazionale in materia antitrust la quale, agli artt. 6 e 16 della L. 287/1990, disciplina il procedimento che l’Autorità competente è tenuta a svolgere, disponendo il divieto delle operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza.
Tuttavia, la norma nazionale non può ritenersi violativa della norma comunitaria in quanto il richiamato art. 86 non esclude che gli Stati membri possano riconoscere diritti speciali, stabilendo di contro che, in tal caso, non deve essere emanata alcuna misura contraria alle norme del trattato istitutivo della Comunità europea.
In altri termini, l’invocato art. 86 del Trattato parte proprio dal presupposto che gli Stati membri hanno il potere di riconoscere ad imprese, pubbliche o non, diritti speciali o di esclusiva (ponendosi poi eventualmente il problema della compatibilità costituzionale di tali norme), stabilendo però, a garanzia del corretto svolgimento della concorrenza in ambito comunitario, che, ove sussista tale ipotesi, gli Stati membri non possono prevedere misure contrarie alle norme del Trattato in materia di concorrenza.
Nel caso di specie, il legislatore nazionale ha espressamente fatto salvo quanto previsto dalla normativa comunitaria, per cui non sussiste un contrasto della norma con l’art. 86 del Trattato.
D’altra parte, il terzo comma dell’art. 86 prevede quale forma di tutela ulteriore che la Commissione, vigilando sull’applicazione dell’articolo, possa rivolgere agli Stati membri opportune direttive o decisioni e, dagli atti del giudizio, non risulta che la Commissione Europea abbia agito ritenendo la norma dello Stato italiano incompatibile con le norme contenute nell’art. 86 del Trattato.
Analogamente, non sussiste la violazione dell’art. 82 del Trattato, secondo cui è incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo.
L’art. 82 indica che tali pratiche abusive possono consistere in particolare:
• nell’imporre direttamente o indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita o altre condizioni di transazione non eque;
• nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;
• nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;
• nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.
La ricorrente, anche sulla base della giurisprudenza comunitaria, ha sostenuto che il rafforzamento di una posizione dominante può concretare un abuso di posizione dominante.
Il Collegio rileva che tale considerazione non è esaustiva in quanto non sussiste un automatismo tra rafforzamento ed abuso di posizione dominante, ma occorre valutare in concreto se il rafforzamento si sia tradotto anche in abuso.
Il punto centrale della questione, in sostanza, è costituito dal fatto che l’abuso di posizione dominante è il risultato di una valutazione effettuata ex post dall’organo competente, mentre il procedimento autorizzatorio relativo all’operazione di concentrazione, la cui norma è stata derogata dalla norma nazionale in esame, anche quando l’operazione stessa consiste in un rafforzamento di posizione dominante, valuta ex ante gli eventuali effetti restrittivi della concorrenza, sicché i due concetti, rafforzamento ed abuso, si pongono su livelli diversi e la norma che consente un’operazione di concentrazione, anche quando attraverso di essa si produce un rafforzamento di posizione dominante, non consente di per sé un abuso, potendo quest’ultimo essere accertato solo a seguito di una valutazione effettuata ex post ed in concreto dall’Autorità competente.
Ne consegue che non sussiste la violazione dell’art. 82 del Trattato, richiamato unitamente all’art. 3, lett. g), ed all’art. 10 dello stesso, in quanto la norma nazionale non deroga affatto alla norma che vieta e reprime l’abuso di posizione dominante, facendo espressamente salva la normativa comunitaria nonché l’art. 3 L. 287/1990 il quale, vietando in ambito nazionale l’abuso di posizione dominante, rappresenta la trasposizione nell’ambito dello Stato membro dello stesso divieto posto dall’art. 82 in ambito comunitario.
Va da sé, quindi, che, ove fosse effettivamente riscontrabile a seguito dell’operazione di concentrazione un abuso di posizione dominante da parte del soggetto risultante dalla concentrazione, la ricorrente, come qualunque altro operatore, potrebbe segnalare alla Commissione Europea, in caso di supposta infrazione intracomunitaria, o all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in caso di ipotizzata infrazione in ambito nazionale, i comportamenti abusivi originati dal rafforzamento della posizione dominante.
3.5 In conclusione, i motivi di impugnativa con cui la ricorrente ha dedotto vizi propri dell’atto sono in parte infondati ed in parte inammissibili.
4. Il Collegio, invece, ritiene che sia rilevante e non manifestamente infondata. la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 10, d.l. 28 agosto 2008, n. 134, conv. in l. 27 ottobre 2008, n. 166, nella parte in cui ha aggiunto il comma 4 quinquies all’art. 4 del d.l. 23 dicembre 2003, n. 347.
La norma in discorso può essere qualificata come norma provvedimento in quanto si riferisce alle operazioni di concentrazione, effettuate entro il 30 giugno 2009, tra imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali connesse o contestuali o comunque previste nel programma debitamente autorizzato, relativo alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, per cui ha un limitatissimo ambito di applicazione ed è da ritenere, inoltre, che sia stata dettata con riferimento alla vicenda Alitalia, tanto che il decreto in cui è contenuta la norma è comunemente noto come c.d. “decreto Alitalia”.
D’altra parte, la stessa amministrazione resistente, nella propria memoria, ha evidenziato come sia agevole constatare che, con l’operazione CAI-Alitalia-AirOne, nella sostanza, “sia stato salvato da sicuro e imminente collasso un sistema integrato di trasporti pubblici, via aerea su scala nazionale”, così come, nella memoria della controinteressata, è specificato che “Le vicende sottese all’adozione del provvedimento legislativo sono a tutti ben note … I rischi di scomparsa della compagnia di bandiera e di disoccupazione di migliaia di lavoratori hanno spinto il Governo ad intervenire con misure drastiche che consentissero la continuità operativa delle imprese incaricate dello svolgimento di servizi pubblici essenziali entrate in crisi e, in particolare, di Alitalia, già posta in regime di amministrazione straordinaria e di AirOne” e che il caso di specie è “caratterizzato da un intervento legislativo giustificato … al fine di consentire la continuità del servizio di trasporto aereo”.
La norma esclude le operazioni di concentrazione anzidette dalla necessità dell’autorizzazione di cui alla L. 287/1990, per cui incide su un numero determinato di destinatari ed ha un contenuto particolare e concreto.
La Corte Costituzionale ha più volte ribadito che non è preclusa alla legge ordinaria la possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina materie normalmente affidate all’Autorità amministrativa, non sussistendo un divieto di adozione di leggi a contenuto particolare e concreto.
Tuttavia, tali leggi sono ammissibili entro limiti non solo specifici, qual è quello del rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso, ma anche generali, ossia quello del rispetto del principio di ragionevolezza e di non arbitrarietà (Corte Costituzionale, sentenze 4 maggio 2009, n. 137, 2 aprile 2009, n. 94, 13 luglio 2007, n. 267).
La legittimità costituzionale delle leggi provvedimento, quindi, deve essere valutata in relazione al loro specifico contenuto e, in considerazione del pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare o derogatorio, è soggetta ad uno scrutinio rigoroso di costituzionalità essenzialmente sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta del legislatore (cfr. la citata sentenza della Corte Costituzionale 4 maggio 2009, n. 137, che richiama, tra le altre, le sentenze 241/2008 e 429/2002).
In definitiva, dalla giurisprudenza costituzionale è possibile ricavare che, se è vero che non è configurabile, in base alla Costituzione, una riserva di amministrazione, è altrettanto vero che lo stesso legislatore, qualora emetta leggi a contenuto provvedimentale, deve applicare con particolare rigore il canone della ragionevolezza, affinché il ricorso a detto tipo di provvedimento non si risolva in una modalità per aggirare i principi di uguaglianza ed imparzialità, sicché la mancata previsione costituzionale di una riserva di amministrazione e la conseguente possibilità per il legislatore di svolgere un’attività a contenuto amministrativo, non può giungere fino a violare l’uguaglianza tra i cittadini e, qualora il legislatore ponga in essere un’attività a contenuto particolare e concreto, devono risultare i criteri ai quali sono ispirate le scelte e le relative modalità di attuazione.
L’art. 3 Cost., infatti, stabilisce il principio di uguaglianza dei cittadini impedendo che siano operate dalla legge discriminazioni arbitrarie.
In altri, termini, la norma costituzionale non obbliga il legislatore a fissare per tutti una identica disciplina, ma la discrezionalità legislativa trova sempre un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparità di trattamento fra cittadini.
In particolare, l’uso del canone della ragionevolezza implica che le discipline normative che contengono o determinano disparità di trattamento tra categorie di soggetti siano valutate anche con riferimento al bilanciamento di valori costituzionali diversi e contrastanti.
Nel caso di specie, l’art. 4, co. 4 quinquies, stabilisce che le operazioni di concentrazione de quibus rispondono a preminenti interessi generali e sono escluse dalla necessità di autorizzazione di cui alla L. 287/1990.
Le norme che risultano derogate sono gli artt. 6 e 16 L. 287/1990.
L’art. 16, co. 1, prevede che le operazioni di concentrazione di cui all’art. 5 (secondo cui l’operazione di concentrazione si realizza anche quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un’impresa comune) devono essere preventivamente comunicate all’Autorità qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall’insieme delle imprese interessate sia superiore a determinate soglie ed il successivo comma 4 stabilisce che se l’Autorità ritiene che un’operazione di concentrazione sia suscettibile di essere vietata ai sensi dell’art. 6, avvia entro trenta giorni dal ricevimento della notifica, o dal momento in cui ne abbia comunque avuto conoscenza, l’istruttoria, mentre, qualora non ritenga necessario avviare l’istruttoria, deve dare comunicazione alle imprese interessate ed al Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato delle proprie conclusioni in merito.
L’art. 6, co. 1, dispone che nei riguardi delle operazioni di concentrazione soggette a comunicazione ai sensi dell’art. 16, l’Autorità valuta se comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza; il secondo comma indica che l’Autorità, al termine dell’istruttoria di cui all’art. 16, co. 4, quando accerti che l’operazione comporta le conseguenze di cui al primo comma, vieta la concentrazione ovvero l’autorizza prescrivendo le misure necessarie ad impedire tali conseguenze.
La norma di cui all’art. 4, co. 4 quinquies, in sostanza ha sottratto all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato il compito di svolgere il procedimento di cui alla L. 287/1990, stabilendo “a monte” che l’operazione di concentrazione può realizzarsi e che l’Autorità deve prescrivere misure comportamentali idonee a prevenire il rischio di imposizione di prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori in conseguenza dell’operazione ed escludendo, quindi, sia la possibilità che l’operazione sia vietata sia l’imposizione di altre misure a tutela delle imprese concorrenti.
Peraltro, la circostanza che l’operazione di concentrazione abbia dei significativi effetti in termini di concorrenza è percepibile dallo stesso provvedimento impugnato, in cui, al par. 13, è espressamente indicato che “CAI, a seguito dell’operazione, sarà l’unico vettore ad offrire servizi di trasporto aereo passeggeri di linea su numerose rotte, tra cui alcune fra le più importanti in termini di trasportato, mentre sulle altre rotte risulterà fortemente ridotta la presenza di operatori concorrenti, con poche eccezioni” ed al par. 31, ove è indicato “… considerata la situazione concorrenziale che verrà a determinarsi a seguito dell’operazione, con la creazione di un vettore che potrà gestire una rete di collegamenti capillare su tutto il territorio nazionale, detenendo sui singoli collegamenti posizioni di assoluto rilievo – se non di unica offerta – in termini di frequenze allo stato disponibili …”.
Se a ciò si aggiunge che la norma della cui legittimità costituzionale si dubita stabilisce che l’Autorità definisce il termine, comunque non inferiore a tre anni, entro il quale le posizioni di monopolio eventualmente determinatesi devono cessare, per cui le posizioni di monopolio, ove ex lege determinatesi, sono destinate comunque a durare per un minimo di tre anni, è verosimile ritenere che la norma di legge abbia discriminato i vettori aerei prevedendo un trattamento più favorevole per le compagnie aeree che - realizzando la suddetta operazione di concentrazione senza il preventivo esame della competente Autorità antitrust sull’eventuale costituzione o rafforzamento di una posizione dominante e soprattutto con esclusione della possibilità che l’operazione stessa sia vietata perché restrittiva della libertà di concorrenza - hanno incrementato la propria posizione in termini concorrenziali, con contestuale discriminazione per le altre compagnie aeree operanti sul mercato del servizio di trasporto aereo nazionale o che in prospettiva potrebbero operare su quel mercato.
Il Collegio ritiene che tale discriminazione non sia ragionevole e, pertanto, risolvendosi in una disparità di trattamento, possa violare l’art. 3 Cost. perché, mentre si rivela lesiva del principio della libertà di concorrenza, che rappresenta un valore costituzionale essendo una delle articolazioni fondamentali della libertà di iniziativa economica privata, la norma di legge non dà conto di quali siano i valori costituzionali perseguiti e, quindi, le ragioni che, in un’ottica di bilanciamento di valori, possano giustificare la deroga operata al principio costituzionale della par condicio ed al valore costituzionalmente rilevante della libertà di concorrenza.
L’art. 4, co. 4 quinquies, infatti, si limita ad indicare che le operazioni di concentrazione in discorso rispondono a preminenti interessi generali, ma di quali siano questi preminenti interessi non fornisce una precisa spiegazione e soprattutto non dà conto del perché, nel bilanciamento degli interessi, questi prevalgono su altri valori costituzionalmente tutelati e del perché non sia possibile perseguire gli stessi con altre modalità non discriminatorie e non lesive del principio di uguaglianza e del principio di tutela della concorrenza.
Né a ciò può supplire la generica formulazione contenuta nelle premesse al D.L. 134/2008, relativamente all’importanza che i servizi forniti dalle società operanti nei settori dei servizi pubblici essenziali non subiscano interruzioni, atteso che, ferma restando l’oggettiva ed assoluta rilevanza della continuità dei servizi pubblici essenziali, non è agevole comprendere né dal testo di legge né aliunde perché tale risultato debba essere perseguito attraverso una norma discriminatoria per gli altri operatori del settore aereo che forniscono lo stesso servizio pubblico essenziale e lesiva del principio di tutela della libertà di concorrenza.
La norma di legge, per quanto esposto, sembra violare anche l’art. 41 Cost., che garantisce la libertà dell’iniziativa economica privata, atteso che, come detto, la tutela della concorrenza costituisce una delle articolazioni fondamentali della libertà di iniziativa economica privata.
L’art. 1 L. 287/1990, infatti, fa presente che le disposizioni della legge si applicano alle intese, agli abusi di posizione dominante ed alle concentrazioni di imprese che non ricadono nell’ambito di applicazione delle norme comunitarie, in attuazione dell’art. 41 Cost. a tutela e garanzia del diritto di iniziativa economica.
Sulla base di tali considerazioni, il Collegio ritiene che non sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., dell’art. 1, co. 10, decreto legge 28 agosto 2008, n. 134, convertito, con modificazioni, in legge 27 ottobre 2008, n. 166 nella parte in cui ha aggiunto il comma 4 quinquies all’art. 4 del decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39.
La questione è rilevante ai fini del presente giudizio, atteso che, sulla base delle considerazioni in precedenza esposte e di quanto indicato nel successivo capo 5, il Collegio ha respinto l’eccezione in rito formulata dall’Avvocatura dello Stato, ha in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibili i motivi di impugnativa con cui la ricorrente ha dedotto vizi propri dell’atto impugnato ed ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale condizionato proposto dalla controinteressata.
L’eventuale annullamento della detta norma di legge, pertanto, si rifletterebbe inevitabilmente sulla legittimità dell’impugnato provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che, nel prescrivere le misure comportamentali per la CAI, ha applicato la norma di legge della cui costituzionalità si dubita, postulando l’avvenuta realizzazione dell’operazione di concentrazione.
Di conseguenza, occorre sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla questione.
5. L’esito, sia pure parziale, dell’impugnativa proposta con il ricorso principale determina l’inammissibilità del ricorso incidentale condizionato con cui Alitalia – Compagnia Aerea Italiana S.p.a. ha dedotto l’illegittimità del provvedimento impugnato in via principale in quanto l’Autorità non avrebbe dovuto subordinare l’autorizzazione al rispetto di rimedi aggiunti rispetto a quelli proposti da Alitalia-CAI, che sarebbero obiettivamente privi di fondamento e sproporzionati.
La specifica qualificazione del ricorso incidentale come subordinato all’accoglimento, anche solo parziale, dell’impugnativa principale, comporta l’inammissibilità del gravame proposto in via incidentale, atteso che le censure afferenti ai vizi propri dell’atto non sono state accolte; per quanto attiene, invece, all’accoglimento del ricorso che dovesse conseguire all’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma di legge applicata con il provvedimento impugnato, l’interesse all’esame delle censure proposte con il ricorso incidentale condizionato si presenta carente poiché con lo stesso si è inteso sostanzialmente contestare l’eccessiva pervasività delle misure comportamentali prescritte e tale argomento non avrebbe alcun rilievo ove il ricorso fosse accolto per l’illegittimità del provvedimento derivata dall’illegittimità costituzionale della norma di rango primario applicata.
(Omissis)