il diritto commerciale d’oggi
     IX.1– gennaio-marzo 2012

STUDÎ & COMMENTI

 

GIOVANNI CABRAS

Mediazione e procedure concorsuali

 

 

   1. Diffidenza degli operatori
   L’istituto della mediazione creato per evitare di far decidere le controversie da un giudice, con i tempi lunghi che ciò comporta, dovrebbe essere benvenuta nelle procedure concorsuali, che proprio per la lunghezza dei processi intra-concorsuali superano usualmente e di molto la ragionevole durata del processo. Eppure la mediazione sembra trovare grandi difficoltà ad affermarsi nelle procedure concorsuali.
Cercherò di dimostrare che non ci può essere alcuna ostilità ambientale per lo sviluppo della mediazione nelle procedure concorsuali e che anzi da queste possono derivare nuovo alimento per altri procedimenti di mediazione. A tal fine occorre superare diffidenze ed equivoci.
   Oltre alla diffidenza generale che ha accolto l’introduzione di tale istituto nel nostro ordinamento (prima con il d. lgs. n. 5/2003 e poi con il d. lgs. n. 28/2010), una ancor più forte diffidenza si è avuta tra gli operatori ad applicarlo nell’ambito delle procedure concorsuali.
   Secondo un approccio, l’essere stata prevista la mediazione per controversie “vertenti su diritti disponibili” (art. 2 del d. lgs. n. 28) ne escluderebbe la compatibilità col fallimento, dato che il curatore non ha la piena disponibilità dei diritti, ovvero ne consentirebbe il ricorso nei soli casi in cui la stessa controversia sarebbe compromettibile per arbitri (art. 806 cod. proc. civ.).
   È un’impostazione basata su equivoci, da cui è opportuno liberarsi, perché conducono ad un ragionamento giuridicamente viziato.

   2. Il primo equivoco
   Il primo e più scoperto equivoco è quello di riferire l’indisponibilità dei diritto alle limitazioni stabilite dalla legge fallimentare ai poteri del curatore o del corrispondente ufficio nelle altre procedure. L’indisponibilità prevista dal d. lgs. n. 28, come in altre analoghe disposizioni legislative, riguarda l’oggetto dei diritti, non già la pienezza o non dei poteri dispositivi nel soggetto deputato ad esercitarli.
   È evidente allora che i diritti. disponibili o indisponibili che siano, non mutano tale qualità intrinseca, quando il loro titolare sia assoggettato a procedura concorsuale.
   Per questa ragione, la pendenza del fallimento o di altra procedura non impedisce, di per sé, che una controversia sia deferibile ad una procedura di mediazione, quando vi possa fare ricorso il soggetto in bonis.
   Pertanto, non è giustificato che un curatore fallimentare, convenuto a partecipare ad una mediazione preventiva obbligatoria, si astenga dal parteciparvi, adducendo semplicemente di non possedere autonomi poteri dispositivi, ovvero che per il medesimo motivo ometta di proporla, se intende iniziare la causa.

   3. La tentazione dell’arbitrato
   Meno evidente – e perciò più difficile da scoprire – è l’equivoco che si annida nell’assimilare la limitazione della mediazione nelle procedure concorsuali alle ipotesi in cui la controversia sia compromettibile per arbitri nel corso delle medesime procedure.
   Indubbiamente il legislatore per la mediazione e per l’arbitrato ha indicato il medesimo criterio discretivo, ossia la disponibilità dei diritti. Ed è pure comprensibile che nell’interprete, considerata la discussione cui ha dato luogo da più tempo la questione dell’arbitrato nelle procedure concorsuali, sia forte la tentazione di avvalersi delle soluzioni raggiunte per l’arbitrato per trasferirle in tema di mediazione.
   Tuttavia, bisogna sfuggire a simile tentazione. A parte il fatto che non sono molte le soluzioni ampiamente condivise sulla compatibilità tra arbitrato e procedure concorsuali (compatibilità che si è affermata decisamente solo dopo la riforma della legge fallimentare, ossia da pochissimo anni), non va trascurato che troppo diverso è il valore giuridico e sistematico di arbitrato e mediazione: l’uno volto a spostare il giudizio e la decisione dalla giurisdizione statale a quella arbitrale; l’altra, volta ad evitare il giudizio e la decisione.

   4. Il diverso valore dell’indicazione sulla disponibilità dei diritti
   Peraltro, anche il riferimento alla disponibilità dei diritti può assumere un diverso significato in tema di arbitrato e di mediazione.
   L’art. 806 cod. proc. civ., con l’indicazione dei diritti disponibili, fissa un limite invalicabile, oltre il quale non può estendersi la potestà arbitrale, essendovi la giurisdizione esclusiva dell’autorità giudiziaria.
   L’art. 2 del d. lgs. n. 28/2010 ha una diversa funzione: quella di favorire la mediazione in materia di diritti disponibili, senza decretare espressamente l’inammissibilità della mediazione per diritti indisponibili, che, a mio avviso, possono esservi trattati, purché l’accordo conclusivo non ne disponga. D’altronde, procedimenti di conciliazione sono previsti dal legislatore in materie sicuramente indisponibili, quali le controversie di lavoro (per le quali ora la riforma Fornero prevede di ripristinare un caso di conciliazione obbligatoria) e le questioni di abusi familiari (art. 342-ter cod. civ.).
   Inoltre, mentre nell'arbitrato la disposizione dei diritti in re ipsa (in quanto il deferimento della controversia agli arbitri costituisce di per sé una disposizione dei diritti controversi), nella mediazione può esserci, ma anche non esserci una disposizione dei diritti (nel caso in cui la conciliazione preveda la rinuncia a diritti o la loro transazione; ma l'esito della conciliazione può essere assai diverso).
   Per queste ragioni non possiamo farci fuorviare dalla comoda assimilazione della mediazione all’arbitrato nelle procedure concorsuali, pur essendoci evidentemente alcuni – ma non tutti – problemi comuni.

   5. Azioni di nullità
   Frequentemente nel corso delle procedure concorsuale il curatore fa valere in giudizio la nullità di un rapporto giuridico pregresso.
   Poiché è inammissibile la transazione basata su un titolo nullo (art. 1972 cod. civ.), potrebbe sembrare inammissibile la mediazione per le azioni di nullità. Per la soluzione del caso, questa volta ci soccorre l’esperienza dell’arbitrato.
   L’inammissibilità della transazione basata su un titolo nullo non impedisce che gli arbitri decidano, sugli atti nulli, accertandone l’illiceità. Si deve ritenere allora che la medesima questione sia deferibile nella mediazione, purché con questa non si ottenga la convalida di negozi nulli, essendo vietata su di essi la transazione (art. 1972 cod. civ.).
   In definitiva, tutte le questioni suscettibili di transazione o arbitrato sono deferibili in mediazione; non sempre vale, però, il contrario.

   6. Questioni sottratte al processo ordinario di cognizione
   Una tematica comune ad arbitrato e mediazione è quella attinente al tipo di giudizio da instaurare.
   La mediazione, come pure l’arbitrato, costituisce una soluzione alternativa, sulla base dell’autonomia privata, non a qualsiasi giudizio, ma solo al processo civile di cognizione davanti all’autorità giudiziaria. Ne consegue che la mediazione non è esperibile per questioni soggette ad un giudizio diverso dal processo contenzioso di cognizione.
   Sebbene può sembrare ovvio, è opportuno precisare che la mediazione non è praticabile riguardo ai procedimenti di dichiarazione di fallimento o di ammissione ad altre procedure concorsuali, nonché per le relative impugnazioni, tutti giudizi che, dando luogo a procedimenti in camera di consiglio, sono espressamente esentati dalle previsioni della mediazione obbligatoria e di quella delegata (art. 5, 4° comma, del d. lgs. n. 28).
   Anche l’accertamento dei crediti concorsuali è sottratto alla mediazione, in quanto questo accertamento nel fallimento deve svolgersi, ai sensi dell’art. 52 legge fall., con lo speciale procedimento davanti al giudice delegato, in sede di verifica tempestiva o tardiva dei crediti. In tale fattispecie il ricorso alla mediazione è precluso, non tanto dal rito speciale, quanto dal simultaneus processus prescritto per l’accertamento dei crediti concorsuali. Lo stessa soluzione va seguita per l’amministrazione straordinaria, sia della Prodi bis, sia della legge Marzano, procedure per le quali è richiamato il sistema di accertamento dei crediti nel fallimento. Per la liquidazione coatta amministrativa, pur non essendoci un apposito un giudizio, l’accertamento del passivo dà luogo ad un procedimento amministrativo, che ugualmente non può essere evitato con la mediazione.
   Invece, nel concordato preventivo, mancando un accertamento dei crediti in sede concorsuale, resta ferma la competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria ed è quindi possibile ricorrere alla mediazione.
   Anche quando il giudizio da instaurare è un giudizio in camera di consigli, non può escludersi l’utilità di ricorrere, ovviamente in modo volontario, ad un procedimento di mediazione. Ad esempio, l’impugnazione di decreti del giudice delegato per la liquidazione di onorari può essere definita, nel corso del giudizio, con un procedimento di mediazione, giungendo un accordo che, con le dovute autorizzazioni, raggiunga il curatore con il creditore interessato. In tali casi è possibile chiudere la vertenza con una transazione, non c’è motivo per conseguire la conciliazioni con l’ausilio di un mediatore.

   7. Azioni derivanti dalla procedura concorsuale
   Le azioni derivanti dal fallimento (o da altra procedura concorsuale) sono devolute, come è noto, alla competenza del tribunale fallimentare (art. 24 legge fall.). Ciò non costituisce, però, una preclusione alla mediazione, quando si tratti di giudizi ordinari di cognizione.
   In particolare, si può ricorrere alla mediazione per le azioni revocatorie fallimentari, azioni che coinvolgono diritti disponibili, come è dimostrato dal fatto che esse sono pacificamente suscettibili di transazione, nonché per le azioni di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci della società fallita.
   Parimenti, la mediazione può operare per azioni relative ai rapporti preesistenti.
   In tutti questi casi, se rientranti nella previsione della mediazione obbligatoria, il curatore fallimentare non può adire il tribunale, se prima non abbia esperito la mediazione. A maggior ragione l’obbligo della mediazione vale, nel corso delle procedure concorsuali, per le azioni di diritto comune proposte dal curatore (o altro organo) o quando questi vi sia convenuto.
   È opportuno perciò che gli organi concorsuali si adeguino alla disciplina della mediazione, non solo per evitare le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza alla stessa disciplina, ma anche per avvalersi delle opportunità che essa presenta, soprattutto al fine di ridurre l’eccessiva durata delle procedure concorsuali.
   Un adeguamento che, invero, non sempre è agevole. Per semplicità di discorso, mi riferirò al fallimento; ma le considerazioni possono essere estese alle altre procedure concorsuali.

   8. Ricorso alla mediazione
   Salvo l’ipotesi, per ora assai rara, che il rapporto giuridico controverso contenga una clausola di mediazione e stabilisca l’organismo cui rivolgersi, per attivare una procedura di mediazione l’attore deve scegliere l’organismo, cui presentare l’istanza per avviare il procedimento e la nomina del mediatore.
   Per quanto il d. lgs. imponga l’imparzialità al mediatore, per le parti non è indifferente che la sua nomina sia data da un organismo, piuttosto che un altro. Per questa ragione è importante la scelta dell’organismo di mediazione, tra i tanti che oramai sono iscritti nell’albo del Ministero della Giustizia.
   Al riguardo va segnalata l’iniziativa del Tribunale fallimentare di Milano, che nell’ottobre 2011 ha aderito alla proposta della Fondazione dei Dottori Commercialisti di Milano per svolgere, a costi agevolati, la mediazione davanti al loro organismo di mediazione. La proposta dei Dottori commercialisti riguarda le mediazioni, sia obbligatorie, sia facoltative.
   Anche se non è stato stipulato un vero accordo, siamo in presenza di una sorta di convenzione, volta a favorire il ricorso delle procedure concorsuali alla mediazione, ma anche di indirizzarne lo svolgimento davanti ad un solo organismo, deputato a risolvere le controversie concorsuali.
   Personalmente non sono molto favorevole alle procedure mediative, per così dire, domestiche, anche se questa è la tendenza in atto: basti pensare all’organismo costituito dall’ABI e denominato “Conciliatore bancario”. Preferirei che le curatele fallimentari si aprano a più organismi di mediazione, sollecitando da tutte un trattamento economico agevolativo e la presenza di mediatori specializzati in campo concorsuale.

   9. Svolgimento della mediazione
   Per avviare il procedimento di mediazione (obbligatoria o facoltativa che sia) il curatore deve chiedere l’autorizzazione al giudice delegato, in quanto il tentativo darà luogo, in caso di insuccesso, all’azione giudiziaria.
   Qualora il curatore abbia omesso di valutare la possibilità di avvalersi della mediazione, l’avvocato incaricato del patrocinio è tenuto a dargli l’informativa, ai sensi dell’art. 4, comma 3, del d. lgs. n. 28, “chiaramente e per iscritto”.
   Nello svolgimento della mediazione non ci sono particolari regole da seguire per il curatore. Naturalmente questi dovrà avvertire il mediatore, sia nelle sessioni congiunte, sia in quelle separate, circa la limitatezza dei suoi poteri, precisando che l’eventuale accordo conciliativo, sarà subordinato all’autorizzazione dei competenti organi del fallimento (giudice delegato e comitato dei creditori).
   Non può escludersi che il curatore si prepari alla mediazione, chiedendo preventivamente agli organi concorsuali l’autorizzazione per una specifica ipotesi conciliativa o un ventaglio di ipotesi conciliative e facendosi riconoscere i poteri per negoziare al meglio nell’ambito delle soluzioni prospettate.
   Per un corretto svolgimento della negoziazione, anche ai fini del successivo giudizio da avviare in caso di insuccesso della mediazione, è fondamentale che i poteri conciliativi attribuiti al curatore rimangano riservati, fino all’accordo raggiunto. Conseguentemente, il curatore dovrà far disporre dal giudice delegato la secretazione per i relativi atti della procedura e, in particolare, dovrà raccomandare al comitato dei creditori il vincolo di riservatezza.

   10. Mediazione obbligatoria
   Finora ho parlato di mediazione nel corso delle procedure concorsuali, senza distinguere i casi obbligatori da quelli facoltativi, essendo personalmente convinto dell’utilità di ricorrere alla mediazione anche quando non sia obbligatoria.
   È evidente, però, l’importanza di individuare quando l’esperimento della mediazione costituisca una condizione di procedibilità del processo.
   Per le azioni di diritto comune esercitate nel corso di una procedura concorsuale non sorgono problemi diversi da quelli che incontra un soggetto in bonis, che voglia proporre una causa in materia di condominio, diritti reali, divisione, e così via, secondo le indicazioni dell’art. 5, 1° comma del d. lgs. n. 28/2010.
   Invece, per le cause derivanti dal fallimento e che l’art. 24 legge fall. attribuisce alla competenza esclusiva del tribunale fallimentare, il discorso è meno agevole. Si tratta, in particolare, delle azioni revocatorie e di quelle che riguardano modificazioni nei rapporti giuridici per l’apertura del fallimento.
   Più precisamente, l’azione revocatoria per una compravendita effettuata con prestazioni sproporzionate o per le rimesse su un conto corrente bancario con riduzione consistente e durevole dell’esposizione debitoria possono essere considerate cause rientranti nella materia, rispettivamente, dei “diritti reali” o dei “contratti bancari”. Ad essere rigorosi, l’oggetto principale di tale cause non è l’attribuzione di un diritto reale o le obbligazioni nascenti da un contratto bancario, bensì la lesione al principio della garanzia patrimoniale.
   Tuttavia, non può escludersi che il favor mediationis, che alimenta il d. lgs. n. 28, possa portare ad interpretare estensivamente i casi in cui è prescritto l’esperimento preventivo di mediazione, comprendendovi tutte le cause in cui la controversia riguardi, anche indirettamente, diritti reali, contratti bancari, e così via. Per questa ragione è consigliabile che il curatore, per evitare il rischio di improcedibilità del processo, in tali casi dia avvio preventivamente al procedimento di mediazione.
   Questo procedimento è sicuramente obbligatorio, a mio avviso, quando la controversia riguardi contratti espressamente indicati nella tabella dell’art. 5, quali i contratti assicurativi, bancari e finanziari, nonché l’affitto d’azienda, stipulati prima della dichiarazione di fallimento e di cui è controverso lo scioglimento a seguito dell’apertura della procedura concorsuale. In questo caso, l’oggetto della controversia è proprio quello specifico contratto o diritto, anche se la norma da applicare ad esso si trova nella legge fallimentare.

   11. Mediazione delegata
   Come ho detto, nei casi di mediazione obbligatoria non costituisce un motivo di esenzione l’essere la controversia intrapresa da una procedura concorsuale. Il curatore o altro organo di gestione dovrà proporre il preventivo esperimento della mediazione ovvero partecipare a quello proposto dall’altra parte.
   Non posso tacere, tuttavia, che la pendenza della procedura concorsuale, con la minore flessibilità del curatore (o altro organo gestorio) rispetto ad un soggetto in bonis, può rendere meno efficace la negoziazione nella mediazione preventiva, obbligatoria o facoltativa che sia.
   L’esperienza professionale insegna che il terzo, convenuto da curatore con un’azione revocatoria o risarcitoria, è poco disponibile a trattare prima della citazione in giudizio, anzi, prima che con grande dispendio di energie e di denari siano state accertate in sede giudiziaria concrete prove a sostegno dell’azione. Questo non significa che la mediazione nelle procedure concorsuali sia inutile, ma che probabilmente essa ha maggiori probabilità di successo come mediazione delegata e, precisamente, quando le parti hanno preso conoscenza del rispettivo materiale probatorio (discovery processuale) ed allora il giudice può esercitare una forte persuasione per il tentativo di conciliazione con l’ausilio di un mediatore.

   12. Mediazione ed organismi di composizione della crisi
   L’esperienza della mediazione, non solo può essere utile per contribuire a rendere più rapide (e quindi più rispettose del principio di durata ragionevole dei processi) le procedure concorsuali, ma può dare un contributo ad evitare le stesse procedure, secondo una tendenza in atto nel nostro ordinamento.
   Tra le innovazioni della legge fallimentare c’è la previsione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, di cui all’art. 182-bis legge fall. Nel concordato preventivo i creditori sono posti nella drastica alternativa di accettare o rifiutare la proposta concordataria formulata dal debitore (con decisione adottata dalla maggioranza e che si impone, se favorevole e con l’omologazione del tribunale, sulla contraria opinione dei creditori di minoranza); invece con gli accordi di ristrutturazione ciascun creditore mantiene integra la propria autonomia privata, come avviene nell’accordo raggiunto all’esito della mediazione di una controversia.
   L’accostamento tra mediazione ed accordi di ristrutturazione non sembri forzata. Come ben sa chi abbia esperimentato una ristrutturazione dei debiti, per raggiungere l’accordo creditori rappresentanti almeno il 60% dell’esposizione debitoria occorre svolgere una paziente negoziazione tra gli opposti interessi del debitore e dei creditori. A tal fine, questi ultimi, specie le banche, richiedono l’intervento di un advisor, un esperto professionista o una società, che faciliti la formazione del consenso. L’advisor è nient’altro che un mediatore, che, attraverso lo scambio delle informazioni, aiuti le parti a trovare l’accordo.
   Quell’accostamento tra mediazione ed accordi di ristrutturazione dei debiti è stato avvertito pure dal nostro legislatore, che di recente, disciplinando il sovraindebitamento delle persone fisiche e delle imprese sottratte per le ridotte dimensioni al fallimento, ha introdotto un procedimento di composizione della crisi, ricalcando le orme del procedimento di mediazione.
   In particolare, la nuova legge 27 gennaio 2012, n. 3, entrata in vigore il 29 febbraio scorso, ha previsto che l’accordo tra il debitore ed i creditori sia raggiunto con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi, previsto in assoluta analogia agli organismi di mediazione e con una analoga regolamentazione.
   La legge n. 3 è oggetto di una proposta di modifica in sede parlamentare, ad iniziativa del Governo, per rendere ancora più evidente ed efficace l’intervento dell’organismo di composizione della crisi (disegno di legge del Ministro Severino n. C-5117, presentato l’11 aprile 2012 alla Camera dei Deputati).
   Non posso indugiare sulla disciplina dei nuovi organismi, che meriterebbero un convegno a sé. A chiusura del mio intervento, mi piace mostrare come la crisi delle imprese (o di altri soggetti), da ambiente ostile alla pratica della mediazione, possa diventare vivaio di nuove forme di mediazione per la composizione della stessa crisi.

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Rivista diretta da Giovanni Cabras e Paolo Ferro-Luzzi

Codice ISSN: E187960