il diritto commerciale d’oggi
     XI.2– aprile-settembre 2012

STUDÎ & COMMENTI

 

MIRIA RICCI

LA DISCIPLINA DEL FALLIMENTO NEL DIRITTO CINESE*

 

   SOMMARIO: 1. L’evoluzione della disciplina fallimentare in Cina. 1.1. I primi interventi normativi in materia di fallimento. – 1.2. La legge fallimentare emanata nel 1986. – 1.3. Dalla legge del 1986 alla nuova disciplina fallimentare. – 1.4. Altre fonti in materia di fallimento. – 2. La legge fallimentare del 2006. – 2.1. I principi ispiratori della legge e i presupposti di ammissione alla procedura. – 2.2. Gli organi del fallimento: l’amministratore del patrimonio fallimentare. – 2.3. L’assemblea dei creditori e il comitato dei creditori. – 2.4. I tre procedimenti previsti nella legge fallimentare: la riorganizzazione. – 2.5. Il concordato. – 2.6. La liquidazione. – 2.7. Le disposizioni specifiche per gli istituti finanziari. - 2.8. Norme finali.

 

   1. L’evoluzione della disciplina fallimentare in Cina.

   1.1. I primi interventi normativi in materia di fallimento. – Il fallimento è un istituto disciplinato legislativamente in Cina a partire dagli inizi del ventesimo secolo. Prima di allora, in mancanza di una legge scritta, valeva una regola di natura etica, in base alla quale “i debiti del padre vengono pagati dal figlio” (1).
   Con l’emanazione della prima legge fallimentare del 1906, nel periodo finale della dinastia Qing (ispirata ad un sistema di civil law, ed in particolare all’esperienza del vicino Giappone) la nozione di fallimento venne formalizzata nell’ordinamento cinese (2).
   La disciplina fu abrogata nel 1908 dall’Imperatore Guang Xu, con la caduta dell’Impero, e soltanto con il Governo Nazionalista, nel 1935 fu emanata una nuova legge fallimentare, ancora oggi vigente a Taiwan (3).
   Con la costituzione della Repubblica Popolare Cinese, nel 1949, veniva abolita ogni disposizione normativa promulgata dal Governo Nazionalista; per più di un trentennio, quindi, mancò una disciplina fallimentare.
   Nel sistema di economia pianificata, il Governo conseguiva direttamente gli utili e sosteneva le perdite delle imprese di proprietà dello Stato (4); le imprese in crisi venivano ricapitalizzate oppure automaticamente liquidate senza seguire una specifica procedura concorsuale (5).
   A partire dai primi anni Ottanta (6), esperti cinesi nei settori dell’economia, del diritto e della pubblica amministrazione segnalavano gli svantaggi che il sistema di economia pianificata aveva portato alle imprese in crisi, e chiesero la promulgazione di una legge sull’insolvenza (7).

   1.2. La legge fallimentare emanata nel 1986. – Il dibattito a livello accademico e politico condusse, il 2 dicembre 1986, nel corso della 18a Sessione dello Standing Committee of the National People Congress, all’emanazione della legge della Repubblica Popolare Cinese sul fallimento delle imprese, che entrò in vigore il 1° novembre 1988.
   Tale provvedimento si inserì in un contesto economico e sociale complesso. Alla fine degli anni Ottanta, infatti, il sistema economico cinese era composto da imprese pubbliche e da imprese private, alcune delle quali partecipate da capitali esteri (8), e la mancanza di una disciplina delle crisi d’impresa incideva considerevolmente sullo sviluppo del mercato cinese e sulle scelte di investimento degli imprenditori esteri.
   La legge del 1986 (9) si applicava soltanto alle imprese di proprietà dello Stato, ad eccezione di quelle di particolare importanza per l’economia nazionale e di quelle di pubblica utilità, nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione avesse garantito sussidi e avesse assicurato il pagamento dei debiti entro il termine di sei mesi dalla presentazione dell’istanza di fallimento.
   La domanda di ammissione al fallimento poteva essere presentata dall’impresa in difficoltà nel far fronte ai pagamenti dei propri debiti oppure dai creditori insoddisfatti.
   La procedura fallimentare era finalizzata alla liquidazione dell’impresa, ma poteva, tuttavia, essere sospesa nelle ipotesi eventuali di riorganizzazione, ossia nel caso in cui l’amministrazione pubblica avesse adottato un piano di risanamento, o di concordato, ossia nel caso fosse stato raggiunto un accordo tra creditori ed impresa nelle forme prescritte dalla legge stessa (10).

   1.3. Dalla legge del 1986 alla nuova disciplina fallimentare. – La legge fallimentare del 1986 si rivelò ben presto insoddisfacente per le esigenze del sistema economico cinese, che negli anni Ottanta stava subendo dei grandi cambiamenti. La Repubblica Popolare Cinese stava, infatti, realizzando riforme che cominciavano ad attrarre un maggior numero di investitori stranieri rispetto al passato.
   Suddetta normativa presentava profili problematici. Un primo aspetto riguardava i presupposti soggettivi di applicazione: infatti, sebbene la soggezione alla procedura fallimentare delle imprese statali costituisse una importante novità rispetto al passato (ossia rispetto alla visione tradizionale secondo la quale le imprese statali non erano soggette a fallimento), ciò non appariva sufficiente in un contesto economico in evoluzione.
   Un secondo profilo di criticità della legge fallimentare del 1986 consisteva nella disparità di tutela delle varie categorie di creditori. L’art. 37 della legge, infatti, disponeva il pagamento, in primo luogo, dei crediti di lavoro e dei contributi sociali, e in seguito dei crediti tributari. Non si prevedevano altre categorie di creditori privilegiati. Erano preferiti, quindi, i crediti da lavoro, con il fine di evitare i problemi connessi all’aumento della disoccupazione e alle possibili tensioni sociali. Tuttavia, non erano garantiti allo stesso modo i crediti delle banche e degli istituti finanziari per i prestiti erogati (11).
   Si tenga conto, inoltre, che il numero delle procedure avviate, almeno nei primi anni seguenti il 1988 (anno in cui entrò in vigore la legge) era abbastanza esiguo, se confrontato con le realtà occidentali (12). Il motivo principale va ricercato nelle modalità di gestione delle crisi delle imprese statali da parte del Governo cinese, che favoriva, in molti casi, le operazioni di fusione delle imprese in difficoltà con altre imprese, evitando l’apertura di procedure fallimentari.
   Fu evidente, dopo qualche anno, che tale politica non era proficua (13); ad un cambiamento della politica da parte del Governo cinese seguì, come prevedibile, un aumento significativo del numero delle procedure.

   1.4. Altre fonti in materia di fallimento. – Successivamente alla emanazione della legge sul fallimento del 1986, è entrata in vigore, il 9 aprile 1991, la Legge sulla Procedura Civile della Repubblica Popolare della Cina (14).
   Tale legge contemplava, al Capitolo XIX (artt. 199-206), la disciplina del fallimento e delle procedure di rimborso dei debiti per le imprese costituite come persone giuridiche (15).
   In particolare, si prevedeva che qualora un’impresa, persona giuridica, avesse subito gravi perdite e fosse incapace di rimborsare i debiti dovuti, i creditori avrebbero potuto rivolgersi al Tribunale Popolare del luogo dove l’impresa aveva la propria sede per ottenere la dichiarazione di fallimento del debitore e il pagamento dei debiti. La legittimazione a presentare istanza di fallimento sussisteva anche in capo allo stesso debitore.
   In seguito all’emissione dell’ordinanza per dichiarare l’apertura del fallimento, entro dieci giorni, il Tribunale Popolare lo notificava al debitore e ai creditori conosciuti, i quali potevano presentare le loro domande di insinuazione al passivo.
   I creditori potevano costituire un’assemblea, per poter predisporre e approvare un piano per la cessione e la distribuzione della proprietà fallimentare o per un concordato.
   Il Tribunale Popolare poteva in seguito nominare una commissione di liquidazione, composta dagli organi di Stato competenti e dalle persone interessate, che si sarebbe occupata della conservazione, della valutazione, della cessione e della distribuzione dei beni del fallimento.
   L’impresa fallita e i creditori avevano la possibilità di approvare un concordato, in seguito alla omologazione del quale il Tribunale Popolare avrebbe sospeso la procedura fallimentare e di pagamento dei debiti.
   La Legge sulla Procedura Civile del 1991 prevedeva il rimborso dei debiti secondo un ordine preciso: spese del processo fallimentare; stipendi, salari e spese di assicurazione per i lavoratori; tasse dovute dall’impresa fallita; richieste da parte dei creditori. Se il patrimonio fallimentare non fosse stato sufficiente a rimborsare i debiti interamente, il pagamento avveniva in proporzione.
   Queste norme hanno fornito le basi per giustificare l’applicabilità della disciplina fallimentare anche alle imprese non statali e a tutte le imprese con status di persona giuridica di diritto cinese, promuovendo un meccanismo concorrenziale di sopravvivenza di quelle più sane.
   La Legge sulla Procedura Civile, come anticipato, non si riferiva nello specifico alle imprese non statali, ma prevedeva che la procedura di pagamento dei debiti di cui alla legge sul fallimento si applicasse a tutte le imprese costituite come persone giuridiche (16).
   L’art. 206 della stessa Legge, più precisamente, statuiva che le norme fallimentari non si applicassero alle imprese prive di personalità giuridica, alle imprese individuali, alle imprese agricole date in concessione e alle società private.
Per quanto concerne l’applicabilità della disciplina fallimentare, rileva anche l’attività svolta da altri organi.
   In particolare, si segnalano le numerose interpretazioni giurisprudenziali che la Corte Suprema ha emanato in riferimento alla legge del 1986, pur non essendo questo potere previsto dalla Costituzione (17), e alcuni interventi del Consiglio di Stato, indicazioni che hanno regolato e incentivato le procedure fallimentari in Cina (18).
   Inoltre, nel corso degli anni sono state emanati provvedimenti a livello regionale o municipale che integravano, nelle aree di competenza, la disciplina nazionale (19).
   Più recentemente, la Legge sulla Procedura è stata modificata.
   La disciplina attualmente vigente è stata promulgata nell’ambito dello Standing Committee of the National People’s Congress del 27 ottobre 2007, ed è entrata in vigore il 1° aprile 2008 (20).
   Si segnala che essa non contiene specifiche norme riguardanti il fallimento delle imprese.
   Le norme della legge del 1991, contenute nel Capitolo XIX della stessa, non avevano forse più ragione di essere contemplate nella Legge sulla Procedura Civile, poiché nel frattempo, nel 2006, era stata emanata, come subito vedremo, la nuova legge sul fallimento delle imprese. 2. La legge fallimentare del 2006.

   2.1. Principi ispiratori della legge e presupposti di ammissione alla procedura. – Sin dalla sua emanazione la legge fallimentare del 1986 presentava profili di criticità e necessitava, secondo gli interpreti, di una profonda revisione.
   Dopo più di un decennio di gestazione e dibattito sia politico che dottrinale, la nuova legge fallimentare, emanata dal National People Congress il 27 agosto 2006, entrò in vigore il 1° giugno 2007, abrogando la legge del 1986.
   La legge (21) contiene una disciplina complessa ed è composta da centotrentasei articoli suddivisi in dodici capitoli (22).
   È ispirata ad altre corrispondenti normative estere, in particolare a quelle in vigore negli Stati Uniti (23), ove le procedure concorsuali sono utilizzate come mezzo di conservazione e di risanamento dell’impresa, con effettive garanzie per i creditori (24).
   Un profilo innovativo della legge (25), infatti, è rappresentata dall’obbligo di preventiva soddisfazione dei creditori garantiti, quali ad esempio banche ed istituti finanziari, a differenza della precedente disciplina del 1986 che considerava prioritario il pagamento dei crediti dei lavoratori, per cercare di evitare i problemi di ordine pubblico legati all’aumento della disoccupazione.
   Il legislatore ha privilegiato, quindi, rispetto alle esigenze dei lavoratori, la necessità di creare un mercato finanziario trasparente e stabile, in modo da attrarre gli investitori esteri e specialmente statunitensi ed europei (26).
   Una delle principali novità proposte dalla disciplina riguarda i presupposti soggettivi dell’ammissione al fallimento.
   Possono essere ammesse al fallimento, infatti, tutte le società con status di persona giuridica (art. 2), ossia non soltanto le società di proprietà dello Stato, così come avveniva nella previgente disciplina.
   Per individuare, tuttavia, le società che possono essere sottoposte alla procedura fallimentare, è necessario richiamare la nozione di personalità giuridica, contenuta nell’art. 36 dei Principi generali della legge civile della Repubblica Popolare Cinese, emanati nel 1986, a norma del quale «Una persona giuridica è un’organizzazione che ha capacità giuridica e di agire, che gode autonomamente dei diritti civili e se ne assume gli obblighi, in accordo con la legge. La capacità giuridica e di agire di una persona giuridica inizia quando la persona giuridica viene costituita e finisce quando essa cesserà di esistere» (27).
   Considerato che nell’ordinamento giuridico cinese non tutti i modelli societari sono dotati della personalità giuridica (28) e della autonomia patrimoniale perfetta (29), se ne deduce che possono, quindi, essere sottoposte al fallimento soltanto le società di proprietà dello Stato, oltre alle società private e a partecipazione straniera e agli istituti finanziari, tutte aventi status di persona giuridica; restano quindi escluse le persone fisiche, le imprese individuali e le società di persone (30).
   In proposito, la stessa legge fallimentare, nelle disposizioni supplementari (art. 135), prevede l’applicazione della procedura di liquidazione (di cui agli artt. 107-124 ss.) agli enti non dotati di personalità giuridica che siano già in stato di liquidazione (31).
   Per quanto riguarda i presupposti oggettivi di ammissione al fallimento, a norma dell’art. 2, comma 1, della legge fallimentare, «Quando le società con status di persona giuridica non riescono a liquidare i debiti scaduti e/o il loro patrimonio non è sufficiente a liquidare tutti i debiti (anche non scaduti) oppure è evidente che manchi la capacità di liquidazione, in questi casi si applica la presente legge per mettere ordine nei pagamenti».
   Tale condizione, che parrebbe sostanzialmente simile allo stato di insolvenza nel diritto italiano (32), ossia una condizione grave nell’ambito del più generale stato di crisi, emerge nel primo caso (mancata liquidazione dei debiti scaduti e/o insufficienza del patrimonio a liquidare tutti i debiti, anche non scaduti) in seguito ad una preventiva analisi della situazione contabile della società, e nell’altro (evidente mancanza della capacità di liquidazione) è palese anche in assenza di tale analisi (33).
   La norma prosegue nel senso di consentire alla società che si trovi nella situazione di cui al primo comma oppure in una situazione di crisi in cui vi sia una «evidente possibilità di perdere la capacità di liquidazione», di essere comunque ammessa ad una particolare procedura, definita con il termine molto generico di riorganizzazione.
   Nelle Disposizioni generali contenute nel Capitolo I si prevede, inoltre, che la giurisdizione spetti al Tribunale Popolare del luogo dove ha sede la società debitrice e che si applichino le norme della Legge sulla Procedura Civile nelle ipotesi non previste dalla stessa legge fallimentare.
   Un’importante disposizione è quella contenuta nell’art. 5, concernente l’efficacia della procedura di fallimento a livello transnazionale. Infatti, la legge fallimentare in oggetto si applica anche quando, dichiarato un fallimento, siano coinvolti beni del debitore che si trovano al di fuori del territorio della Repubblica Popolare Cinese. Quindi, la procedura di fallimento iniziata in Cina ha efficacia anche nei confronti di tali beni.
   La stessa disposizione prevede, inoltre, che nei casi in cui un Tribunale estero apra una procedura fallimentare che interessi beni che si trovano all’interno della Repubblica Popolare Cinese, il giudice cinese (il Tribunale Popolare) riconosca l’efficacia della procedura all’interno, dopo aver verificato che, in base alle convenzioni internazionali alle quali la Repubblica Popolare Cinese ha aderito, o secondo i principi di reciproca mutualità, non siano stati violati i principi fondamentali della legge cinese, non siano stati danneggiati la sovranità statale, la sicurezza e gli interessi pubblici sociali, e non siano danneggiati i diritti e gli interessi legittimi dei creditori che si trovano nel territorio della Repubblica Popolare Cinese. In seguito ad un esito positivo di questi accertamenti il Tribunale Popolare emette un provvedimento di accoglimento ed esecuzione della sentenza emessa all’estero.
   La tutela degli interessi dei lavoratori resta uno degli obiettivi della legge, poiché il Tribunale Popolare deve tenerne conto nel giudicare un caso fallimentare, e deve inoltre indagare sulla responsabilità giuridica degli amministratori della società debitrice (34).
   Legittimato a richiedere l’ammissione alla procedura fallimentare può essere lo stesso debitore, il quale, se si trova nelle condizioni di cui all’art. 2 in precedenza menzionate, può presentare domanda al Tribunale Popolare per essere ammesso ad uno dei procedimenti fallimentari: la riorganizzazione, il concordato o la liquidazione fallimentare.
   I creditori possono, inoltre, richiedere l’ammissione del debitore alle procedure di riorganizzazione o di liquidazione, se quest’ultimo non è in grado di pagare i debiti scaduti (35).
   Il presupposto per l’ammissione alla procedura di riorganizzazione è lo stato di insolvenza o lo stato di crisi dell’impresa, mentre il presupposto per la richiesta di concordato (che può essere presentata soltanto da parte del debitore) è lo stato di insolvenza, così come per l’ammissione alla liquidazione (sia su richiesta del debitore che dei creditori).
   È inoltre prevista un’ulteriore ipotesi di ammissione al fallimento, qualora «l’impresa con status di persona giuridica è già sciolta ma non è stata liquidata o la liquidazione non è finita e il suo patrimonio non è sufficiente a pagare i debiti»; in tal caso, il responsabile della liquidazione deve fare istanza di liquidazione fallimentare al Tribunale Popolare.
   In merito ai soggetti legittimati a chiedere l’ammissione al fallimento, che la legge indica nello stesso debitore e nei creditori (36), occorre segnalare che non è prevista la possibilità che il Tribunale intervenga d’ufficio, nel corso di un procedimento di natura civile o penale.
   L’istanza di fallimento può essere revocata dall’istante prima che il Tribunale accolga la domanda.
   Nei casi in cui un creditore presenti istanza di fallimento, il Tribunale Popolare notifica, entro cinque giorni dal ricevimento della stessa, la domanda al debitore, il quale può fare opposizione entro sette giorni dal ricevimento della notifica. Il Tribunale decide se ammettere il debitore al fallimento entro dieci giorni dal termine del periodo per presentare opposizione.
   Se il debitore non presenta opposizione, la Corte decide entro quindici giorni dalla data del ricevimento della domanda. In casi particolari tale periodo può essere ampliato di ulteriori quindici giorni. I tempi fissati dalla norma per decidere sull’accoglimento dell’istanza di fallimento sono, quindi, piuttosto brevi.
   Nei casi in cui il Tribunale Popolare accetta la domanda, questi notifica la decisione all’istante, entro cinque giorni dalla data della decisione stessa. Se la domanda è stata presentata da un creditore, il Tribunale notifica ad entrambi i soggetti la decisione.
   Nei casi in cui, invece, il Tribunale Popolare decida di non accettare la domanda di fallimento, entro cinque giorni dalla decisione deve notificarla al soggetto che ha presentato l’istanza (ossia al debitore o al creditore) il quale, se dissente da questa decisione, può presentare appello entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento.
   Entro venticinque giorni dal momento in cui ha deciso l’ammissione del debitore alla procedura fallimentare, il Tribunale Popolare notifica la decisione ai creditori noti ed effettua gli adempimenti pubblicitari (37).
   Dichiarato il fallimento, i pagamenti da parte del debitore di specifici debiti sono considerati nulli.

   2.2. Gli organi del fallimento: l’amministratore del patrimonio fallimentare. – L’amministratore del patrimonio fallimentare costituisce una importante novità della legge rispetto alla previgente disciplina (38). Tale organo è nominato dal Tribunale Popolare (39) nel momento in cui decide di accettare l’istanza di fallimento (art. 13).
   L’assemblea dei creditori può richiedere al Tribunale Popolare di sostituire l’amministratore che non svolge il suo ruolo in conformità alla legge o in modo imparziale, oppure l’amministratore che non sia in grado di ottemperare ai suoi doveri per mancanza della necessaria competenza.
   Una norma centrale, che non era presente nella previgente disciplina, prevede che il ruolo dell’amministratore possa essere ricoperto da un gruppo di esperti (40) composto da personale appartenente a istituti o agenzie governative, studi legali, studi commerciali, società specializzate in liquidazioni aziendali o funzionari di amministrazioni pubbliche (41).
   Si può nominare amministratore una persona fisica nei casi in cui l’impresa in crisi sia di piccole dimensioni e il professionista abbia stipulato un’assicurazione sulla responsabilità professionale; in tutti i casi in cui l’impresa sia di dimensioni più grandi deve essere nominato un gruppo di liquidatori (42).
   Questa norma mette in risalto un elemento significativo che differenzia l’amministratore del patrimonio fallimentare dalla figura corrispondente nella legge fallimentare italiana, ossia il curatore (43). Mentre il ruolo di quest’ultimo, infatti, è solitamente ricoperto da una persona fisica, nella legge fallimentare cinese l’amministratore è, invece, nella quasi totalità dei casi, un ente o uno studio professionale, rappresentato in concreto da un insieme di soggetti dotati delle qualifiche fissate dalla legge.
   Il contesto normativo nel quale agiscono il curatore (italiano) e l’amministratore (cinese) sono profondamente diversi e ai due organi sono affidati poteri differenti.
Dal punto di vista della prassi si tenga conto che in Cina il dissesto di una società coinvolge nella quasi totalità dei casi un numero di soggetti molto elevato; basti pensare che un singolo fallimento potrebbe contemplare decine di migliaia di insinuazioni al passivo, che un singolo curatore persona fisica non riuscirebbe a gestire.
   Sul punto vale forse la pena di suggerire un parallelo con la disciplina italiana delle procedure concorsuali, con le dovute cautele dovute alle sostanziali differenze fra i due ordinamenti giuridici, segnalando che nella disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza è prevista la possibilità di nominare un commissario giudiziale oppure di nominarne tre (art. 15 d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270). Inoltre, una recente modifica ha introdotto la possibilità di nominare un gruppo di liquidatori (44). Anche questa previsione fa pensare alle difficoltà di gestire crisi di imprese dalle proporzioni consistenti da parte di una singola persona fisica.
   Per quanto concerne il metodo relativo alla nomina dell’amministratore e la decisione circa il suo compenso, la legge stabilisce che verranno regolati dalla Corte Suprema. Nella Repubblica Popolare Cinese, infatti, la Corte Suprema è giudice di secondo grado per i casi discussi dai Tribunali Superiori e ha competenza in unico grado su cause civili e penali di particolare rilevanza nazionale, esercitando un potere di controllo e coordinamento sull’attività di tutti gli organi giudiziari. Tuttavia, ed è questa la competenza che qui più interessa, la Corte svolge una funzione di orientamento interpretativo attraverso l’emanazione di chiarimenti e pareri che costituiscono in concreto norme di attuazione delle leggi cinesi, le quali sono nella maggior parte dei casi norme generali ed astratte (45).
   L’amministratore ha dunque la disponibilità e la gestione del patrimonio fallimentare (46), riferisce sulle operazioni compiute al Tribunale Popolare ed è soggetto alla supervisione dell’assemblea dei creditori e del comitato dei creditori.
L’amministratore esercita i suoi doveri con diligenza e lealtà; può assumere ed essere affiancato da altro personale, con la preventiva autorizzazione del Tribunale Popolare, che decide anche l’importo del compenso per l’amministratore, in merito al quale l’assemblea dei creditori può presentare opposizione dinanzi allo stesso Tribunale.
   Per quanto attiene alla rinuncia all’incarico, occorrono specifici motivi e l’autorizzazione, anche in questo caso, del Tribunale Popolare.
   L’amministratore, nell’ambito dei suoi poteri, può esercitare la revocatoria fallimentare entro un anno dalla dichiarazione di fallimento, con una richiesta al Tribunale Popolare, nei casi in cui il debitore ponga in essere una delle seguenti operazioni: il trasferimento di beni senza corrispettivo; le vendite ad un prezzo palesemente irragionevole; le concessioni di garanzie su debiti non garantiti; i pagamenti di debiti non ancora scaduti; la rinuncia ai crediti. In questi casi non occorre l’intenzione del debitore di arrecare un pregiudizio al creditore, ma è sufficiente la conoscenza del pregiudizio causato dall’atto (47).
   Inoltre, l’amministratore può ottenere la revoca delle attività poste in essere dal debitore per danneggiare appositamente i creditori, quali ad esempio i trasferimenti di beni per evitare il pagamento di debiti, oppure il riconoscimento di debiti falsi.
   Per quanto riguarda l’amministratore del patrimonio fallimentare, è stato segnalato uno spunto di comparazione con la disciplina delle procedure concorsuali dei Paesi di common law. La figura dell’amministratore sembra, infatti, per taluno simile a quella del trustee anglosassone (48).
   Non essendo possibili ulteriori approfondimenti in questa sede, ci si limita a segnalare che la figura dell’amministratore è ispirata a quella del trustee (49). Il confronto richiede comunque cautela sia a motivo delle profonde differenze tra l’ordinamento cinese e l’ordinamento anglosassone, che non consentono semplicemente di inserire un istituto di un ordinamento nell’altro, sia a motivo di caratteristiche specifiche dei due istituti.
   L’amministratore nella procedura cinese ha, come detto, la disponibilità e la gestione del patrimonio fallimentare (per espressa previsione dell’art. 25), a differenza del trustee inglese che, invece, ha la proprietà dei beni.
La legge fallimentare cinese non approfondisce le competenze dell’amministratore, ma si limita a precisare che (tra i vari doveri) esso deve gestire e disporre del patrimonio del debitore, senza precisare meglio come esercita i suoi poteri; tale vaghezza della disciplina non consente un confronto approfondito.
   In realtà, l’amministratore della legge fallimentare cinese pare essere destinatario di poteri più ampi della figura corrispondente nel diritto italiano, ossia del curatore, e forse questo profilo certamente lo avvicina al trustee; tuttavia, sembra che all’ispirazione iniziale del legislatore cinese sia seguita una disciplina profondamente differente delle due figure.

   2.3. L’assemblea dei creditori e il comitato dei creditori. – I creditori che si sono insinuati al passivo, a norma dell’art. 59 ss. della legge fallimentare, costituiscono l’assemblea dei creditori e ad essi sono attribuiti il diritto di partecipazione e il diritto di voto. Non gode, invece, di diritto di voto, il creditore il cui credito non sia stato determinato nell’importo, salvo che il Tribunale Popolare, per concedergli la possibilità di votare, non determini provvisoriamente la cifra del credito (50).
   Il presidente dell’assemblea è nominato dal Tribunale Popolare tra i creditori aventi diritto di voto.
   All’assemblea dei creditori sono attribuite funzioni significative: essa, infatti, verifica i crediti; monitora l’attività dell’amministratore e può richiedere al Tribunale Popolare di sostituirlo; nomina i membri del comitato dei creditori; approva il piano di riorganizzazione, il piano di gestione dei beni del debitore, il piano di vendita dei beni nella procedura di liquidazione; inoltre, ha altre competenze affidategli dal Tribunale (51).
   Il comitato dei creditori, invece, è un organo eventuale, perché la sua istituzione può essere decisa dall’assemblea dei creditori, ma non è obbligatoria. È composto dai rappresentanti dei creditori eletti dall’assemblea e da un rappresentante dei dipendenti della società o un rappresentante del sindacato; possono farne parte al massimo nove membri.
   Il comitato dei creditori sorveglia la gestione e la disposizione del patrimonio del debitore, nonché la distribuzione del patrimonio del fallimento, promuove la convocazione dell’assemblea dei creditori e svolge ulteriori funzioni che gli sono affidate dall’assemblea dei creditori (52).

   2.4. I tre procedimenti previsti nella legge fallimentare: la riorganizzazione. – La legge prevede tre diversi procedimenti fallimentari: la riorganizzazione, il concordato e la liquidazione.
   La riorganizzazione, prevista nel Capitolo VIII della legge, è disciplinata in modo puntuale da ben ventiquattro articoli (artt. 70-94).
   La domanda per accedere alla procedura può essere presentata dallo stesso debitore (53) o dai creditori al Tribunale Popolare (54).
   Si tratta, in estrema sintesi, di un piano di accordo con i creditori per il ripianamento dei debiti. Così come avviene in molti altri Paesi, anche nella Repubblica Popolare Cinese l’obiettivo è quello di valorizzare il patrimonio dell’impresa predisponendo un piano per la ristrutturazione delle passività attraverso il pagamento, anche in percentuale, dei crediti (55).
   Appare rilevante la previsione di cui all’art. 73, secondo cui durante il periodo di riorganizzazione il debitore può, se lo richiede e se il Tribunale approva, rientrare in possesso del suo patrimonio, disporne e amministrarlo direttamente sotto la supervisione dell’amministratore.
   Durante lo svolgimento della riorganizzazione, su richiesta dell’amministratore o delle parti interessate, il Tribunale deve chiudere tale procedura e dichiarare il fallimento se ricorrono determinate circostanze (56).
   Il soggetto che ha la disponibilità e l’amministrazione del patrimonio del debitore (ossia l’amministratore o lo stesso debitore) deve predisporre un piano di riorganizzazione (57) e sottoporlo al Tribunale e all’assemblea dei creditori entro sei mesi da quando il Tribunale ha concesso la riorganizzazione, termine che può essere prolungato di altri tre mesi (58). La mancata presentazione del piano entro il termine fissato determina la chiusura della procedura di riorganizzazione e la dichiarazione di fallimento.
   Con la legge del 2006 per la prima volta nel diritto fallimentare cinese è stata introdotta la classificazione dei crediti, contenuta nel piano di riorganizzazione, sull’esempio del diritto anglosassone e del Chapter XI del Stati Uniti, pur con le significative differenze nell’adattamento della normativa (59).
   I creditori sono suddivisi nelle seguenti classi: a) creditori garantiti (dal patrimonio del debitore); b) creditori che vantano crediti da lavoro (60); c) creditori che vantano crediti su imposte; d) creditori chirografari (61).
Ai fini della votazione sul piano di riorganizzazione, il Tribunale convoca l’assemblea dei creditori entro trenta giorni dal    ricevimento del progetto. Il piano è approvato se vota a favore dello stesso la maggioranza dei creditori ammessi al voto che rappresentino almeno i due terzi dei crediti del medesimo gruppo. In seguito all’approvazione di ciascun gruppo di creditori, il debitore o l’amministratore devono sottoporre il piano al Tribunale perché lo approvi.
   Può accadere che il piano non sia approvato da uno o più gruppi di creditori; in questo caso, ai sensi dell’art. 87, il debitore o l’amministratore può iniziare una trattativa con il gruppo o i gruppi che non lo hanno votato e procedere ad una seconda votazione. Se il gruppo vota, di nuovo, negativamente o non vota affatto, ma il piano di riorganizzazione presenta i requisiti richiesti dalla legge, il debitore o l’amministratore possono comunque richiedere al Tribunale Popolare l’approvazione del piano stesso.
   Se il piano di riorganizzazione, invece, non è approvato dai gruppi e non è autorizzato ai sensi dell’art. 87, oppure è approvato dai gruppi di creditori, ma non è autorizzato dal Tribunale, quest’ultimo chiude la procedura di riorganizzazione e dichiara il fallimento del debitore.
   Nei casi in cui il piano è approvato dal Tribunale, l’amministratore trasferisce la disponibilità e l’amministrazione dei beni al debitore, che è responsabile per l’esecuzione del piano.
   A questo punto il piano è vincolante per il debitore e per tutti i creditori. I creditori che non si sono insinuati al passivo non possono chiedere la soddisfazione dei propri crediti durante il periodo di esecuzione del piano di riorganizzazione.
   Se il debitore non può eseguire o non esegue il piano di riorganizzazione su richiesta dell’amministratore o delle parti interessate, il Tribunale termina l’esecuzione del piano di riorganizzazione e dichiara il fallimento del debitore; da quando l’esecuzione del piano è terminata il debitore non è più responsabile per le obbligazioni che sono rese nulle dal piano di riorganizzazione.
   La normativa fallimentare cinese, come segnalato, è ispirata principalmente a quella dei Paesi anglosassoni e degli Stati Uniti; tuttavia, è stato evidenziato che il legislatore non ha sfruttato tutte le possibilità offerte da questo procedimento, eventualmente allineandosi maggiormente a quanto previsto nella legge statunitense e in particolare al Chapter XI. La disciplina sembrerebbe, infatti, piuttosto rigida, vincolata alle decisioni del Tribunale Popolare, e predisposta per imprese che versano in uno stato di insolvenza piuttosto avanzato (62).

   2.5. Il concordato. – Il Capitolo IX della legge (artt. 95 ss.) disciplina il procedimento di concordato (63), consistente essenzialmente in un accordo transattivo volto alla composizione e del risanamento della situazione debitoria (64).
   L’ammissione al concordato può essere richiesta con apposita istanza al Tribunale Popolare, in un momento precedente o successivo alla presentazione dell’istanza di fallimento, ma non oltre la dichiarazione di fallimento.
   Se il Tribunale ravvisa che l’istanza di concordato rispetta i requisiti dettati dalla legge, deve darne pubblicità e convocare l’assemblea dei creditori per discutere la bozza di accordo. Anche in questo caso sono privilegiati i creditori garantiti da garanzia reale, che possono soddisfarsi sul patrimonio del debitore dopo che il Tribunale ha approvato l’accordo.
   L’accordo è approvato se è favorevole almeno la metà dei creditori con diritto di voto presenti in assemblea, che rappresentino almeno i due terzi del totale dei crediti chirografari. Occorre successivamente l’approvazione da parte del Tribunale, che provvede alla pubblicazione. L’amministratore deve trasferire il patrimonio e la gestione degli affari al debitore e sottoporre una relazione relativa allo svolgimento delle sue funzioni al Tribunale (art. 98).
   Nei casi in cui non sia possibile realizzare il piano di concordato (perché non è accettato dall’assemblea dei creditori oppure perché non viene approvato successivamente dal Tribunale), il debitore viene dichiarato fallito.
   L’accordo approvato dal Tribunale (65) è vincolante nei confronti di tutti i creditori e i debitori conciliati; per creditore conciliato si intende il creditore che non è sostenuto da una garanzia reale nel momento in cui il Tribunale accoglie la domanda di fallimento (art. 100). Da questo momento, il debitore ha l’obbligo di pagare i debiti secondo quanto stabilito nell’accordo.
   Se il debitore non può o non esegue il concordato, su richiesta dei creditori il Tribunale deve chiudere il concordato e dichiarare fallito il debitore.
   Una norma particolarmente importante nella legge fallimentare cinese è l’art. 105, che riguarda una particolare procedura di conciliazione, prevista dal legislatore per dare la possibilità alle parti di risolvere le controversie attraverso procedure alternative rispetto alle procedure contenziose (66). La norma prevede, infatti, che il debitore e i creditori possano ricorrere a tale procedura conciliativa stragiudiziale anche se il Tribunale ha già accolto la domanda di fallimento. Affinché il Tribunale possa chiudere la procedura del fallimento occorre un accordo tra il debitore e tutti i creditori. La rilevanza di questa norma consiste nel fatto che, nella prassi, le parti cercano di ricorrervi in un grandissimo numero di casi, in modo da evitare il fallimento, la conseguente liquidazione del patrimonio e la perdita definitiva della business licence, la registrazione che consente alle imprese cinesi di operare con gli operatori esteri.
   Collegata alla conciliazione di cui all’art. 105 della legge fallimentare pare la recentissima emanazione, nel 2011, della legge cinese sulla mediazione, che meriterebbe certamente un approfondimento ulteriore, ma che qui si segnala soltanto perché il ricorso alla mediazione potrebbe, nei casi consentiti dalla legge, ridurre evitare l’applicazione dei il ricorso ai procedimenti di cui alla legge fallimentare.

   2.6. La liquidazione. – La disciplina inerente il procedimento di liquidazione non si discosta in modo significativo da quella contenuta nella legge previgente del 1986 ed è ispirata agli standards normativi internazionali. La disciplina è contenuta nel Capitolo X (artt. 107 ss.).
   Il Tribunale Popolare dichiara il fallimento e comunica il provvedimento al debitore e all’amministratore entro cinque giorni dalla emissione dello stesso, ed entro dieci giorni ai creditori noti; provvede inoltre alla pubblicazione.
   Il Tribunale può chiudere la procedura di fallimento nei seguenti casi: quando un terzo fornisce una garanzia su tutti i debiti o ha pagato tutti i debiti scaduti per il debitore, oppure quando il debitore stesso ha pagato tutti i debiti scaduti.
   I titolari che hanno diritti di garanzia su determinati beni del fallito, dati in pegno o ipotecati, hanno diritto di prelazione sugli stessi beni; inoltre, se dopo aver esercitato tale diritto non sono stati soddisfatti per l’importo totale dei loro crediti, questi ultimi sono considerati crediti ordinari, corrispondenti ai crediti chirografari.
   Per quanto riguarda la fase della vendita e distribuzione dell’attivo, l’amministratore deve redigere un piano di vendita dei beni del fallito e presentarlo all’assemblea dei creditori per la valutazione; nella redazione del piano l’amministratore tiene conto di quanto stabilito dall’assemblea dei creditori (ai sensi dell’art. 65) o dal Tribunale, ma ha potere discrezionale nella decisione del momento in cui può vendere i beni del fallito.
   La vendita dei beni deve essere realizzata tramite un meccanismo d’asta, tranne nei casi in cui vi sia una diversa decisione dell’assemblea dei creditori. I beni possono essere venduti in blocco oppure può esserne venduta una parte; alcune categorie di beni, inoltre, devono essere alienati in base alla disciplina di specifiche leggi statali (67).
   I debiti devono essere pagati secondo un ordine stabilito dalla legge: in primo luogo le spese relative alla procedura del fallimento e i debiti di comune interesse; in seguito devono essere soddisfatti i crediti da lavoro (68); i crediti generali. Se i beni del fallimento non sono sufficienti per pagare debiti della stessa categoria, si opera una distribuzione proporzionale per quota.
   Il piano di distribuzione dei beni del fallito viene sottoposto dall’amministratore all’assemblea dei creditori per la discussione (69) e l’eventuale adozione, a seguito della quale il piano deve essere approvato dal Tribunale e può quindi essere applicato dall’amministratore.
   La chiusura della procedura fallimentare è prevista nel caso in cui manchino beni da distribuire e l’amministratore la richieda al Tribunale Popolare. Inoltre, nel momento in cui la distribuzione dei beni è terminata, l’amministratore deve tempestivamente consegnare una relazione sulla distribuzione dei beni del fallimento al Tribunale, chiedendo allo stesso tempo la cessazione della procedura fallimentare. Il Tribunale decide nel termine di quindici giorni dalla richiesta e se la accoglie deve rendere pubblico il provvedimento (70).
   Tuttavia, anche in seguito alla chiusura del fallimento, i creditori possono chiedere al Tribunale Popolare una nuova distribuzione al verificarsi di particolari circostanze, ossia se è stato verificato che alcuni specifici beni possono essere recuperati, oppure se è stata scoperta l’esistenza di altri beni del fallito che possono essere distribuiti.
   Infine, si segnala che i garanti e gli altri debitori solidali dell’impresa fallita continuano ad essere responsabili nei confronti dei creditori che non sono stati soddisfatti nella procedura fallimentare, anche successivamente alla chiusura del fallimento.

   2.7. Le disposizioni specifiche per gli istituti finanziari. – La legge fallimentare contiene, all’art. 134 del Capitolo XII, specifiche disposizioni per gli istituti finanziari, dettate in ragione della peculiare rilevanza economica e sociale a livello nazionale di tali imprese.
   In particolare, in caso di stato di crisi o di insolvenza (ai sensi dell’art. 2) di istituti finanziari come le banche commerciali, le imprese di assicurazione e le società di brokeraggio, è prevista una specifica procedura, per alcuni profili differente da quanto sinora descritto.
   L’Istituto di Sorveglianza e di Gestione della Finanza del Governo Centrale, infatti, può presentare al Tribunale Popolare un’istanza di riorganizzazione o di liquidazione di tali istituti finanziari.
   Se lo stesso Istituto funge da amministratore o nomina un amministratore per la gestione e il controllo dell’istituto finanziario in crisi, questi può chiedere al Tribunale di chiudere le procedure civili o esecutive in cui l’istituto finanziario era convenuto o esecutato.
   In tal modo si tende ad evitare il fallimento di istituti finanziari (quali ad esempio le banche cooperative, presenti in ogni provincia, e le banche commerciali, presenti in ogni città) e i gravi effetti economici e sociali che tale procedura può causare (71).
   Inoltre, nel caso in cui sia stato già dichiarato il fallimento di un istituto finanziario, il Consiglio degli Affari Statali può emanare un regolamento di applicazione in base alla legge fallimentare o ad altre leggi.
   Il regolamento di applicazione richiama norme contenute nella legge fallimentare, nella legge sulle società, nella legge sulle imprese di assicurazioni e sulle banche commerciali e, in concreto, disapplica alcune norme della legge fallimentare, quali, ad esempio, il privilegio dei crediti garantiti, la suddivisioni dei creditori in classi, la nomina dell’amministratore (il cui ruolo è assunto, in questa ipotesi, da un funzionario dello Stato) (72).
   La specifica disciplina prevista da questo articolo per gli istituti finanziari sembra fortemente orientata alla tutela dei risparmiatori. In particolare, la possibilità di evitare il ricorso al fallimento in alcune ipotesi o l’eventualità di disapplicare alcune disposizioni della legge fallimentare consente di contemperare le esigenze dell’impresa in crisi e dei soggetti coinvolti.
   In quest’ottica si potrebbe leggere la disposizione di cui all’art. 133, che ha previsto, per le società di proprietà dello Stato, l’applicazione per l’anno 2008 di norme speciali emanate dal Consiglio degli Affari Statali (ossia dal Governo Centrale), finalizzate ad evitare i fallimenti tramite una ricapitalizzazione o una liquidazione gestite direttamente dallo Stato.

   2.8. Norme finali. – La legge prevede la responsabilità civile dei soggetti (componenti del consiglio di amministrazione, componenti dell’organo di controllo, dirigenti) che, violando l’obbligo di fedeltà e l’obbligo di diligenza, abbiano causato il fallimento dell’impresa.
   Gli stessi soggetti, per il triennio seguente la chiusura della procedura del fallimento, non possono assumere incarichi negli organi sociali o come dirigenti.
   Sono previste anche sanzioni pecuniarie per il debitore che rifiuti di consegnare al Tribunale Popolare documenti relativamente alla descrizione dei beni, all’elenco dei debitori, all’elenco dei creditori, alla relazione contabile, al pagamento degli stipendi e della assicurazione sociale oppure consegni documenti falsi.
   Viene sanzionato con una multa anche l’amministratore che non abbia svolto il suo incarico in modo fedele e diligente; inoltre, se ha causato danni ai creditori, al debitore o a terzi è tenuto al risarcimento dei danni.
   La norma riguardante la responsabilità per il profilo penale è molto sintetica, prevedendo solamente la responsabilità penale in caso di violazione della legge fallimentare costituente reato.

   * Lo scritto è destinato al volume dal titolo: Principi di diritto commerciale cinese, a cura di D. Lucarini e L. Marchegiani, di prossima pubblicazione per le edizioni CEUM (Centro Università di Macerata).

NOTE

   (1) Nonostante la civiltà cinese sia molto antica, risalente tra la fine del III e gli inizi del II millennio prima di Cristo, il diritto inteso in senso occidentale, ossia quale complesso di nozioni, istituzioni, tecniche, con operatori professionali e giuristi, si consolida, quale sistema di regolazione sociale, in tempi recenti (L. MOCCIA, Il diritto cinese nella teoria dei sistemi giuridici: dalla tradizione alla commistione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 880).
   Per alcuni studiosi la nozione di diritto era del tutto sconosciuta alla cultura cinese antica; per altri, il diritto cinese tradizionale, vigente durante i ventitre secoli di durata dell’Impero e anche nel periodo precedente, «non è che un aspetto della morale; le regole giuridiche non essendo altro che un complemento di regole morali»; infine, taluno considera l’esistenza del diritto cinese nelle leggi scritte, soprattutto penali, nell’ambito della consuetudine formatasi nel contesto della morale confuciana. In ogni caso, è indubbio che la concezione tradizionale cinese del diritto è molto lontana da quella occidentale [J. GILISSEN, voce Diritto cinese, I) Antichità e tradizione (traduz. di L. Moccia dall’originale in lingua francese), in Enc. Giur. Treccani, XI, Roma, §1.1, citato da L. MOCCIA, op. cit., p. 879).

   (2) Si può concepire un ordinamento giuridico della Cina popolare soltanto da qualche decennio, grazie ad un importante sforzo di modernizzazione legislativa da tempo realizzata in Cina. Dopo la fine del periodo maoista, infatti, con la dirigenza socialista sono state realizzate numerose riforme, attraverso il ricorso alla modalità dei c.d. “trapianti giuridici” o “trasferimenti di diritto”, ossia di recepimento di istituti e nozioni di diritto straniero, di matrice sia romanistica (civil law), sia anglo-americana (common law) (L. MOCCIA, Il diritto in Cina. Tra ritualismo e modernizzazione, Torino, Bollati Boringhieri, 2009, p. 12).

   (3) Sul punto: SHUGUANG LI, Bankruptcy Law in China: Lessons of the Past Twelve Years, in Harvard Asia Quarterly, 2001 (reperibile sul sito della rivista www.asiaquarterly.com e sul sito www.leggicinesi.it al link http://www.leggicinesi.it/dottrina/LiShuguang_Bankruptcy.pdf).

   (4) A partire dal 1949, con riferimento al ruolo del diritto in Cina, gli studiosi distinguono tre periodi: a) un primo periodo, dal 1949 al 1957, durante il quale il ruolo del diritto in Cina era rilevante e i fiorenti studi giuridici erano orientati a realizzare un nuovo sistema giuridico rivoluzionario ispirato all’Unione Sovietica, fondato sulla proprietà pubblica e sull’economia pianificata, e quindi inconciliabile con i principi giuridici occidentali e con la tradizione del diritto romano; b) un secondo periodo, dal 1958 al 1977, menzionato come il periodo del “nichilismo giuridico”, durante il quale si tendeva a negare il ruolo del diritto, come accadde in maniera evidente durante la c.d. rivoluzione culturale; c) un terzo periodo, dal 1978 al 1989, in cui fu intrapreso un nuovo percorso normativo riprendendo i principi giuridici tradizionali, riconoscendo che «la cultura giuridica, compresa quella romana, costituisce parte integrante della cultura dell’intera umanità» e con la consapevolezza che l’eredità del diritto romano può essere utilizzato anche nella Cina attuale [JIANG PING, Il diritto romano nella Repubblica Popolare Cinese, in L. Formichella, G. Terracina, E. Toti (a cura di), Diritto cinese e sistema giuridico romanistico. Contributi, Torino, Giappichelli, 2005, p. 3 ss.].

   (5) Al riguardo, è stato segnalato come spesso, su tali vicende, venisse mantenuto il più assoluto riserbo (SHUGUANG LI, Bankruptcy Law in China: Lessons of the Past Twelve Years, cit.).

   (6) Nell’ultimo trentennio sono state approvate numerose leggi, tra le quali: la Sino-Foreign Equity Joint Ventures Law (1979); la Foreign Economic Contract Law (1985, abrogata dalla Contract Law nel 1999); i General Principles of Civil Law (1986); il Civil Procedure Law (1991, modificato poi nel 2007); la Company Law (1993, modificata nel 1999, nel 2004 e nel 2005); la Insurance Law (1995); la Labor Contract Law, la Antimonopoly Law e la Property Law (tutte emanate nel 2007). Per ulteriori indicazioni sulla normativa emanata nello stesso periodo si rinvia a D. A. PALMER, J. J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, Beard Books, Washington, D.C., 2009, p. 11 ss.

   (7) SHUGUANG LI, Bankruptcy Law in China: Lessons of the Past Twelve Years, cit.

   (8) L. PANZANI, La disciplina del fallimento in Cina, in L. FORMICHELLA, G. TERRACINA, E. TOTI (a cura di), Diritto cinese e sistema giuridico romanistico. Contributi, cit., p. 190 ss.

   (9) Una traduzione in lingua inglese della legge è consultabile sul sito www.leggicinesi.it, al link http://www.leggicinesi.it/view_doc.asp?docID=126.

   (10) Per ulteriori riferimenti si vedano L. PANZANI, La disciplina del fallimento in Cina, cit., p. 200 ss.; D. A. PALMER, J. J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, cit., p. 29 ss.

   (11) M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, in L. Panzani (a cura di), Il fallimento… atto terzo: primi spunti di dottrina e giurisprudenza, Milano, Ipsoa, 2008, p. 257. La legge fallimentare del 1986 cominciò ad essere oggetto di analisi per apportare delle modifiche già dopo pochi anni dalla sua emanazione. Uno dei primi progetti fu quello posto in essere dal Consiglio di Stato, riguardante la riorganizzazione delle imprese statali industriali in alcune regioni. Questo programma, noto come Policy Bankruptcy program, sarebbe stato eventualmente esteso a tutto il territorio cinese per implementare la legge fallimentare, e fu pensato soprattutto per proteggere i lavoratori dai fallimenti delle imprese di proprietà statale attraverso trasferimenti, riqualificazioni e trattamento prioritario delle loro rivendicazioni (D. A. PALMER, J. J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, cit., p. 29).

   (12) Le procedure aperte dal 1988 al 2000 furono soltanto 16.000, tenendo conto che furono, ad esempio, 98 nell’anno 1988, 1625 nel 1993 e 5396 nel 1996. La maggior parte delle procedure riguardava imprese private o imprese collettive, ossia pubbliche, ma non di proprietà dello Stato. I casi più significati erano, comunque, quelli di alcune imprese di proprietà dello Stato. Un caso importante ha avuto ad oggetto, nel 1999, il fallimento della Guandong International Trust & Investment Corporation (GITIC), la seconda società finanziaria cinese per dimensione; per una analisi delle conseguenze di questo fallimento si veda L. PANZANI, La disciplina del fallimento in Cina, cit., p. 195.

   (13) Il Governo cinese aveva adottato una politica di promozione delle fusioni delle imprese al posto dell’apertura delle procedure fallimentari. Tale sistema sembrava essere un rimedio soltanto nel breve termine, ma si sarebbe rivelato disastroso nel medio-lungo termine per l’economia cinese. Riconoscendo l’inefficienza di questo approccio, fu valutata la possibilità di adottare la procedura fallimentare come soluzione preferibile per le imprese di proprietà dello Stato insolventi; soltanto i fallimenti, infatti, potevano porre rimedio a situazioni di crisi. Il Governo cinese, dall’anno 2000, iniziò una nuova politica di Il «more bankruptcies, less mergers» (SHUGUANG LI, Bankruptcy Law in China: Lessons of the Past Twelve Years, cit.).

   (14) Il testo in italiano della Legge sulla Procedura Civile è reperibile in N. PICARDI, A. GIULIANI (a cura di), Ricerche sul processo. 7. Il processo civile cinese, Rimini, Maggioli, 1998, p. 161 ss., e in particolare p. 201 ss. per gli articoli che qui interessano (artt. 199 ss.).

   (15) Sulla nozione di personalità giuridica si veda il §2.1.

   (16) SHUGUANG LI, Bankruptcy Law in China: Lessons of the Past Twelve Years, cit.

   (17) L. PANZANI, La disciplina del fallimento in Cina, cit., p. 191.

   (18) SHUGUANG LI, Bankruptcy Law in China: Lessons of the Past Twelve Years, cit.

   (19) Meritano una segnalazione le norme varate nell’agosto del 1993 nella Provincia del Guangdong e quelle della zona economica speciale di Shenzhen in tema di fallimenti societari (SHUGUANG LI, Bankruptcy Law in China: Lessons of the Past Twelve Years, cit.).

   (20) Il testo inglese della Legge sulla Procedura Civile emanata nel 2007 è reperibile sul sito www.leggicinesi.it, al link: http://www.leggicinesi.it/view_doc.asp?docID=578.

   (21) Questo studio sulla legge fallimentare vigente in Cina è basato sulla traduzione della legge, dalla versione cinese nella lingua italiana, effettuata da Maria Antonietta Tanico, pubblicata nel volume: L. PANZANI (a cura di), Il fallimento… atto terzo: primi spunti di dottrina e giurisprudenza, cit., p. 283 ss.; nella Prefazione allo stesso volume (p. VII) il curatore evidenzia che l’Autrice «dà conto, in un rapido commento, delle linee fondamentali della riforma e dell’ambiguità del testo, che non emerge in modo adeguato dalla traduzione ufficiale in lingua inglese». È possibile consultare la traduzione inglese della legge sul sito www.leggicinesi.it, che il sito stesso segnala provenire dal sito www.fdi.gov.cn, al link http://www.leggicinesi.it/view_doc.asp?docID=332 e quella presente nella monografia di D. A. PALMER, J. J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, cit., Appendice A, con testo a fianco della legge in lingua originale. Le norme della legge fallimentare vigente citate in questo scritto sono, quindi, quelle rese nella traduzione italiana di M.A. Tanico, nella pubblicazione citata in questa nota.

   (22) Si tenga conto che anche la legge fallimentare italiana e le leggi speciali sulle altre specifiche procedure concorsuali hanno subito numerose modifiche. È importante, tuttavia, segnalare che il legislatore italiano è intervenuto più volte soltanto in un periodo molto recente. La legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, contenente in origine la disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), infatti, è stata per decenni l’unico riferimento per la disciplina delle procedure concorsuali. Successivamente la legge è stata affiancata da altri provvedimenti riguardanti le procedure amministrative. Il primo provvedimento legislativo sull’amministrazione straordinaria è stato attuato con la l. 3 aprile 1979, n. 95 (c.d. Legge Prodi), poi sostituita con la nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270, c.d. Legge Prodi-bis). In seguito al dissesto del gruppo Parmalat il Governo ha emanato un provvedimento contenente le misure urgenti sulla ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza (d.l. 23 dicembre 2003 n. 347, convertito in l. 18 febbraio 2004, n. 39, c.d. Legge Marzano, successivamente modificata dal d.l. n. 134 del 2008, convertito in legge 166 dello stesso anno, interventi legislativi che hanno cercato di risolvere la crisi dell’Alitalia.
   La legge fallimentare del 1942 è stata modificata soltanto dopo molti decenni dalla sua emanazione, con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80, con la quale fu modificata la disciplina del concordato preventivo e introdotti nuovi istituti quali gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani attestati. In seguito, il legislatore è intervenuto con il d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, che ha modificato profondamente la disciplina del fallimento, introducendo anche il nuovo istituto della esdebitazione. Le innovazioni sono state completate e perfezionate con l’emanazione del d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169, che, tra l’altro, ha abrogato la procedura dell’amministrazione controllata. Per quanto riguarda le procedure per le grandi imprese in crisi, si segnalano le recentissime innovazioni introdotte dal c.d. decreto sviluppo emanato con d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011 n. 106 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 luglio 2011, n. 160), e in particolare l’art. 8, comma 3, che contiene norme per accelerare la chiusura delle procedure di amministrazione straordinaria che si protraggono da molti anni e che ha introdotto delle modifiche al d.lgs. n. 270 del 1999.

   (23) Per un confronto dei testi normativi si può consultare la versione (abbreviata) del U.S. Bankruptcy Code nella Appendice B del volume di D. PALMER, J. J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, cit. Gli autori evidenziano che molte delle previsioni della legge vigente e, in realtà, anche della legge del 1986, sono ispirate alle norme contenute nel Chapter XI del U.S. Bankruptcy Code (nel volume citato, a p. 60 e ss., si può consultare una tabella a sezioni contrapposte per la comparazione delle due normative).

   (24) M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 257 s.; nello stesso scritto l’Autrice riporta le considerazioni del Prof. Shuguang Li, promotore della stessa legge, che pare utile riportare per capire le finalità e gli aspetti innovativi della disciplina: «La legge elimina le remore degli investitori stranieri in quanto crea un ambiente commerciale di credibilità, efficienza, sicurezza e buone aspettative. L’iniezione di fiducia data alle banche attraverso la legge sul fallimento è di enorme aiuto per sostenere il mercato del credito e soprattutto il rispetto del credito».

   (25) Il tema della disciplina del fallimento nella Repubblica Popolare Cinese richiama un confronto con le procedure concorsuali nel diritto italiano che però, data la significativa differenza tra i due ordinamenti giuridici, non è possibile realizzare in modo esauriente in questa sede. Nel corso di questo scritto ci si limiterà, quindi, a segnalare le differenze più evidenti in riferimento ad alcuni specifici istituti. Per coloro che fossero interessati ad operare un confronto approfondito con la normativa italiana, recentemente riformata in più fasi e relativamente alle diverse procedure, si segnalano alcuni contributi in materia: AA.VV., Diritto fallimentare. Manuale breve, Milano, Giuffrè, 2008; G. ALESSI, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, Milano, Giuffrè, 2000; S. AMBROSINI (a cura di), La riforma della legge fallimentare. Profili della nuova disciplina, Bologna, Zanichelli, 2006; U. BELVISO, Tipologia e normativa della liquidazione coatta amministrativa, Napoli, 1973; S. BONFATTI e P. F. CENSONI, Manuale di diritto fallimentare, Padova, Cedam, 2007; F. BRICOLA, F. GALGANO, G. SANTINI (a cura di), Commentario Scialoja-Branca. Legge fallimentare, Bologna, Zanichelli – Roma, Società editrice del Foro italiano; V. BUONOCORE, A. BASSI (a cura di), Trattato di diritto fallimentare, Padova, Cedam, 2010; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 3. Contratti. Titoli di credito. Procedure concorsuali, Torino, Utet, 2008; S. FORTUNATO, G. GIANNELLI, F. GUERRERA, M. PERRINO (a cura di), La riforma della legge fallimentare, Milano, Giuffrè, 2011; V. GIORGI, Introduzione al diritto delle crisi d’impresa, Padova, Piccin, 2012; A. JORIO (diretto da), M. Fabiani (coordinato da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, Zanichelli, 2006-2007; G. LO CASCIO, Il concordato preventivo, Milano, Giuffrè, 2007; D. MAZZOCCA, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, Jovene, 1996.

   (26) M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 258.

   (27) F. MONTI, Diritto societario cinese, Roma, Carocci, 2007, p. 115, nota 20. L’Autrice segnala che, per comprendere la nozione di personalità giuridica di diritto cinese, occorre analizzare altre norme contenute nei Principi generali della legge civile. A norma degli artt. 37 e 38, infatti, una persona giuridica può definirsi tale quando: 1. è stata costituita nel rispetto della legge; 2. possiede fondi e beni necessari; 3. è dotata di una propria denominazione, di organi e di una sede; 4. è capace di assumere responsabilità indipendentemente dai soci o dai suoi fondatori. Inoltre, l’art. 41 degli stessi Principi generali recita: «Una società posseduta interamente da persone o di proprietà collettiva è qualificata come persona giuridica, quando è dotata di sufficienti fondi come stipulato dal contratto: è dotata di uno statuto, un’organizzazione e una sede; ha la capacità di rendersi in modo indipendente responsabile civilmente: è stata approvata e registrata dall’autorità competente. Un’equity joint venture, una contractual joint venture o una società con capitale interamente straniero sarà qualificata persona giuridica in Cina se mostra i requisiti per esserlo ed è stata approvata e registrata dall’agenzia amministrativa per l’industria e il commercio in accordo a quanto la legge prescrive». La stessa Autrice ha inoltre rilevato delle analogie nella nozione di personalità giuridica tra il diritto italiano ed il diritto cinese, poiché anche in quest’ultimo l’ente dotato di personalità giuridica è considerato centro di imputazione di rapporti giuridici distinto dalle persone fisiche che rivestono la qualità di soci; di conseguenza, la connessa caratteristica della autonomia patrimoniale perfetta consente ai soci di beneficiare della responsabilità limitata ai conferimenti effettuati (F. MONTI, Diritto societario cinese, cit., p. 56 e p. 116, nota 20).

   (28) Nell’ordinamento giuridico cinese esistono società che possono essere costituite soltanto da soggetti residenti in Cina, la cui disciplina è contenuta nella legge sulle società di capitali (legge approvata il 29 dicembre 1993 ed emendata il 25 dicembre 1999, il 28 agosto 2004 e il 27 ottobre 2005), che contempla due tipi: la limited liability company (LLC) e la joint stock limited company (JSLC) (che presentano affinità, rispettivamente, con la società a responsabilità limitata e con la società per azioni dell’ordinamento giuridico italiano), dotate di personalità giuridica e autonomia patrimoniale perfetta. Tra i modelli societari nei quali possono investire i soggetti non residenti nella Repubblica Popolare Cinese, invece, sono dotate di personalità giuridica e di autonomia patrimoniale perfetta: a) tra le società con capitale misto a partecipazione straniera e cinese (joint venture – JV): le equity joint venture (EJV) di natura societaria, le contractual joint venture (CJV) nella forma di impure contractual joint venture o cooperative joint venture, pure di natura societaria (mentre le pure contractual joint venture, dotate di natura semisocietaria, non sono dotate di personalità giuridica); b) le società con capitale interamente straniero (wholly foreign owned enterprice – WFOE; si tenga conto che esistono anche le no-legal person WFOE che non sono dotate di personalità giuridica); c) le holding company (HC); d) le foreign invested company limited by shares (FICLS); e) le wholly foreign owned foreign trading companies (FTC); f) le foreign invested commercial enterprice (FICE). La spiegazione è tratta da F. MONTI, Diritto societario cinese, cit., p. 51, 52 e 56. Per una esposizione sulla disciplina delle tipologie societarie menzionate si veda anche D.A. PALMER, J.J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, cit., p. 20 ss.

   (29) Per quanto riguarda, in particolare, i tipi societari disciplinati nella legge sulle società di capitali, essi sono, in termini inderogabili, caratterizzati dalla responsabilità limitata e, quindi, delle obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio. In questa prospettiva l’attribuzione della personalità giuridica «rafforza il distacco fra la sfera patrimoniale dell’ente e quella del singolo socio» (A. SERRA, Le legge cinese sulle società di capitali. Profili generali, in L. Formichella (a cura di), Le nuove leggi cinesi e la codificazione: la legge sulle società, Atti del Convegno internazionale su «Sistema giuridico romanistico e diritto cinese», 3-4 giugno 2008, Università di Roma “Tor Vergata” e Università di Roma “La Sapienza”, Torino, Giappichelli, 2011, p. 12 ss.). La legge sulle società di capitali contiene anche una disciplina, seppure essenziale, sulle società quotate, definite come quelle i cui titoli sono quotati e scambiati in borsa; si potrebbe quindi ritenere applicabile a tutte le società cinesi che abbiano titoli quotati, anche in una borsa situata in uno Stato estero rispetto alla Repubblica Popolare Cinese (per una analisi sul tema: R. LENER, Le società quotate nella legge cinese sulle società, in L. Formichella (a cura di), Le nuove leggi cinesi e la codificazione: la legge sulle società, cit., p. 67 ss.). La traduzione italiana della legge sulle società di capitali è contenuta nel volume Leggi tradotte della Repubblica Popolare Cinese. IV. Legge sulle società, traduzione di Laura Formichella ed Enrico Toti, Torino, Giappichelli, 2008.

   (30) M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 258. Occorre, quindi, tener conto che la legge fallimentare si applica sia alle società di proprietà dello Stato che a quelle private, purché dotate di personalità giuridica, e che non tutte le imprese statali o quelle private sono sottoponibili alla procedura proprio perché non tutte le società appartenenti a tali categorie hanno personalità giuridica (D.A. PALMER, J.J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, cit., p. 58).

   (31) In proposito si segnala che la legge sulle società di capitali (che, come accennato, disciplina la limited liability company e la joint stock limited company, entrambe dotate di personalità giuridica) in tema di scioglimento e liquidazione della società, prevede nell’articolo 188: «Qualora dopo aver completato l’inventario del patrimonio sociale, la formazione dello stato patrimoniale e la redazione degli elenchi dei beni, l’organo di liquidazione stabilisca che il patrimonio sociale non è sufficiente alla estinzione dei debiti della società, in base alla legge deve presentare al Tribunale Popolare una richiesta per la dichiarazione di fallimento.
   Dopo che il Tribunale Popolare abbia dichiarato il fallimento della società, l’organo di liquidazione deve trasferire i compiti di liquidazione al Tribunale stesso».
   Il legislatore, inoltre, in vista di un esito positivo della procedura, precisa (nell’art. 187) i criteri a cui deve ispirarsi la divisione delle risorse residue tra i soci (nella limited liability company in proporzione alla misura della loro partecipazione e nella joint stock limited company in base al numero dei titoli detenuti (G.P. ALLECA, Lo scioglimento delle società di capitali nell’ordinamento cinese, in L. Formichella (a cura di), Le nuove leggi cinesi e la codificazione: la legge sulle società, cit., p. 87 ss.).
   L’art. 188 della legge sulle società evidenzia, come altre disposizioni della stessa legge, «un collegamento diretto con altri istituti del diritto dell’impresa» fondato sul fatto che nell’ordinamento della Repubblica Popolare Cinese manca un corpo organico di norme sull’impresa come quello presente nel codice civile italiano, e quindi la disciplina delle società è anche disciplina dell’impresa (P. MASI, Spunti in tema di società ed impresa, in L. Formichella (a cura di), Le nuove leggi cinesi e la codificazione: la legge sulle società, cit., p. 31).

   (32) Per un’analisi dello stato di insolvenza nell’ordinamento italiano si vedano, tra i molti contributi e a titolo esemplificativo: G. FERRI jr, Insolvenza e crisi dell’impresa organizzata in forma societaria, in S. Fortunato, G. Giannelli, F. Guerrera e M. Perrino (a cura di), La riforma della legge fallimentare, cit., p. 37 ss.; S. ROSSI, Le crisi d’impresa, in A.A. V.V., Diritto fallimentare. Manuale breve, Milano, Giuffrè, 2008, p. 22 ss.; G. TERRANOVA, Lo stato di insolvenza. Per una concezione formale del presupposto oggettivo del fallimento, in Giur. comm., 1996, I, p. 82 ss.; G. TERRANOVA, Stato di crisi e stato di insolvenza, Torino, Giappichelli, 2007.

   (33) L’effettuazione o meno di una analisi sulla situazione contabile della società è un dato che si comprende dal testo in cinese, e non è evidenziato nelle traduzioni in inglese. Si vedano le note alla traduzione in italiano di M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 283, note all’art. 2. Nella traduzione inglese della legge contenuta nel volume di D. A. PALMER, J. J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, cit., Appendice A, l’art. 2, comma 1, recita: «If an enterprise legal person is unable to pay off the debts as they become due, and its assets are insufficient to pay off all of its debts or it is obviously lacking in the capability to repay the debts, its debts shall be disposed in accordance with this Law». Una precedente traduzione in italiano di M.A. Tanico dell’art. 2 della legge è citata anche nel volume di L. GHIA, L’esdebitazione. Evoluzione storica, profili sostanziali, procedurali e comparatistici, Milano, Ipsoa, 2008, p. 81: «Quando le società con status di persona giuridica sono impossibilitate a far fronte alle proprie obbligazioni ed il loro patrimonio non riesce a sanare i debiti o difetta di liquidità, esse devono essere poste in liquidazione».

   (34) È stato segnalato che dal testo in lingua originale si comprende che tale responsabilità è di carattere civile ed amministrativo, ed anche penale per le società statali (M.A. TANICO, Legge fallimentare cinese, in L. PANZANI (a cura di), Il fallimento… atto terzo: primi spunti di dottrina e giurisprudenza, cit., Appendice normativa, p. 284, nota n. 2 all’art. 6).

   (35) La norma indica genericamente questa condizione per legittimare i creditori alla richiesta di ammissione alla procedura della società debitrice.

   (36) L’istanza di fallimento presentata al Tribunale Popolare deve contenere alcune informazioni indicate dalla legge, oltre a quelle richieste dallo stesso Tribunale; se l’istanza è presentata dal debitore occorrono documenti ulteriori.
   L’art. 8 recita: «Quando si propone istanza di fallimento al Tribunale Popolare ad essa devono essere allegate le relative prove.
   L’istanza di fallimento deve contenere:
   1) la situazione generale dell’istante e della persona chiamata;
   2) lo scopo della istanza;
   3) i fatti e le motivazioni della istanza;
   4) altri requisiti che il Tribunale Popolare ritiene necessari».
   I requisiti di cui al punto 4 possono variare a seconda della provincia in cui si trova il Tribunale, poiché ogni provincia cinese adotta i propri regolamenti (M.A. TANICO, Legge fallimentare cinese, in L. PANZANI (a cura di), Il fallimento… atto terzo: primi spunti di dottrina e giurisprudenza, cit., Appendice normativa, p. 284, nota n. 1 all’art. 8). La norma continua, al comma 3: «Quando l’istanza è presentata dal debitore, questi deve anche consegnare al Tribunale una relazione sulla situazione del suo patrimonio, un elenco contabile dei debiti e un elenco dei crediti, le relative relazioni fiscali e contabili, un piano di riorganizzazione dell’organigramma del personale, una relazione sulla situazione dei pagamenti dei lavoratori e della assicurazione sociale».

   (37) La notifica ai creditori noti e il documento per la pubblicità devono contenere gli stessi elementi, a norma dell’art. 14, co. 2; la pubblicazione avviene su un quotidiano locale (M.A. TANICO, Legge fallimentare cinese, in L. PANZANI (a cura di), Il fallimento… atto terzo: primi spunti di dottrina e giurisprudenza, cit., Appendice normativa, p. 285, nota n. 1 all’art. 14).

   (38) Nel testo inglese della legge contenuto nel volume di D. A. PALMER, J. J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, cit., Appendice A, il nome di questo organo è tradotto dal cinese con il termine administrator. Tale scelta è supportata anche dall’indicazione contenuta nello scritto di M.A. Tanico, nel quale l’Autrice segnala che l’organo deputato all’amministrazione del patrimonio fallimentare è indicato con il termine inglese Administrator nella traduzione inglese del Bankruptcy Law and Restructuring Research Center of China University of Politics and Law, curata dal Prof. Shunguang Li; in questo secondo caso il termine è riportato con la lettera maiuscola (M.A. TANICO, La nuova legge fallimentare in Cina, cit.).

   (39) Ciascun Tribunale Popolare, nell’ambito di una base territoriale, predispone un elenco di amministratori al quale fare riferimento; il Tribunale di una provincia non può, di conseguenza, nominare un amministratore dell’elenco di una diversa provincia (M.A. TANICO, Legge fallimentare cinese, in L. PANZANI (a cura di), Il fallimento… atto terzo: primi spunti di dottrina e giurisprudenza, cit., Appendice normativa, p. 287, nota n. 1 all’art. 22).

   (40) In inglese ci si riferisce al gruppo di liquidatori che costituisce l’organo dell’amministratore con il termine liquidation panel (D. A. PALMER, J. J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, cit., Appendice A, p. A-7).

   (41) Non possono essere nominati coloro che hanno riportato condanne penali per reati dolosi, che non siano in possesso dei necessari titoli di abilitazione professionale o che abbiano interessi nell’ambito della stessa procedura, oppure che si trovino in ogni altra circostanza che il Tribunale ritenga motivo di esclusione (art. 24).

   (42) Si segnala che nella disciplina previgente, invece, potevano essere nominati soltanto persone fisiche per il ruolo di amministratore del patrimonio fallimentare.

   (43) Per approfondimenti sull’istituto del curatore nel diritto italiano e sull’evoluzione del suo ruolo in seguito alle recenti riforme in materia fallimentare si rinvia alla bibliografia contenuta nella nota 25.

   (44) Il d.lgs. 270/1999 è stato interessato da modifiche introdotte dal c.d. decreto sviluppo, emanato con d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011 n. 106, con disposizioni destinate ad accelerare la chiusura delle procedure di amministrazione straordinaria che si protraggono da molti anni, tramite la nomina di terzi assuntori di concordato da proporre ai creditori (art. 8, co. 3, l. 106/2011).

   (45) Le principali leggi ordinarie, infatti, sono costituite da norme generali ed astratte, alla cui emanazione segue di solito l’intervento della Corte Suprema con norme di interpretazione e di attuazione. Per poter emanare tali norme, tuttavia, la Corte necessita dell’autorizzazione del Comitato Permanente dell’Assemblea del Popolo, organo cui spetta il compito di interpretazione delle norme. Alla Corte Suprema spetta il compito di cui all’art. 22 della legge fallimentare, ossia stabilire i metodi di nomina e i compensi dell’amministratore. In base a questa disposizione la Corte ha emanato due interpretazioni nel 2007. La prima riguarda i metodi di nomina e stabilisce che il Tribunale Popolare deve predisporre un elenco di soggetti che possono ricoprire il ruolo di amministratore, ossia enti di mediazione, in concreto studi professionali quali studi legali, commerciali e di liquidatori fallimentari, in possesso di requisiti specifici quali la business licence, che consiste in una registrazione presso l’autorità amministrativa locale dell’ente o dello studio, e le certificazioni per ciascun membro dello studio o dell’ente riguardanti l’assenza di procedimenti penali pendenti e di condanne. Possono essere inseriti nell’elenco anche nominativi di persone fisiche, purché si tratti di professionisti “registrati” e non “ordinari” ossia che abbiano ottenuto una abilitazione in seguito al superamento di un esame di Stato. Nei casi di procedure molto complesse, o di rilevanza nazionale o quando riguardino banche o imprese di assicurazioni, il Tribunale Popolare può preparare un elenco di amministratori appartenenti a distretti o province diverse da quelle a motivo della loro maggiore competenza in materia. L’assemblea dei creditori può chiedere la sostituzione dell’amministratore, motivata da varie cause: la sospensione o la cancellazione della business licence, il fallimento dell’amministratore o le incompatibilità dello stesso con la procedura, un danno causato ai creditori con dolo o colpa grave; se l’amministratore è una persona fisica può costituire motivo di sostituzione la scadenza della assicurazione professionale. La seconda interpretazione della Corte ha stabilito tariffe massime per i compensi che spettano all’amministratore, ma in casi particolari possono essere applicate tariffe superiori ai massimi previsti, depositando presso la Corte Suprema Nazionale dei documenti giustificativi; anche in questo caso è ammessa l’opposizione dell’assemblea dei creditori in riferimento ai compensi stabiliti dal Tribunale Popolare (per ulteriori indicazioni sulle due interpretazioni riguardanti nomina e compenso dell’amministratore si rinvia a M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 260 ss. e p. 287, nota 3 all’art. 22, ove l’Autrice cita il volume G. AJANI – A. SERAFINO – M. TIMOTEO, Diritto dell’Asia Orientale, Torino, Utet, 2007).

   (46) L’amministratore del patrimonio fallimentare ha il dovere di controllare il patrimonio del debitore, il timbro, i libri contabili, i documenti, i dati e gli oggetti; assumere informazioni e fare una relazione relativa al patrimonio del debitore; decidere la gestione degli affari interni del debitore; prendere decisioni relativamente alle spese quotidiane e alle altre spese necessarie del debitore; decidere se continuare o interrompere lo svolgimento degli affari intrapresi dal debitore prima della prima assemblea dei creditori; gestire e disporre del patrimonio del debitore; subentrare nelle cause, procedure di arbitrato o altri procedimenti legali nell’interesse del debitore; proporre la convocazione dell’assemblea dei creditori; adempiere a tutti gli altri doveri appositamente richiesti dal Tribunale Popolare (art. 25).
   In particolare, inoltre, l’amministratore ha il potere di decidere in quali contratti in corso subentrare e quali destinare allo scioglimento (art. 18); in seguito all’accoglimento della domanda di fallimento da parte del Tribunale Popolare, riceve i pagamenti da parte dei debitori dell’impresa fallita (art. 17). Le procedure civili ed arbitrali in corso di svolgimento alla data della dichiarazione di fallimento sono sospese fino a quando l’amministratore non assume la gestione del patrimonio del debitore (art. 20). Il patrimonio del debitore è composto dai beni che appartengono al debitore al momento dell’accoglimento della domanda e dai beni che ha acquisito nel corso della procedura, fino al termine della stessa (art. 30).

   (47) M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 262.

   (48) Questo dato di confronto con la figura del trustee è segnalato da L. PANZANI, La disciplina del fallimento in Cina, cit., p. 189; M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 260. Per un confronto con la disciplina statunitense si può consultare il testo del U.S. Bankruptcy Code, in particolare il Chapter 7 – Liquidation, Sec. 701 e seguenti, in materia di nomina, sostituzione e doveri del trustee, in D. A. PALMER, J. J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, cit., Appendice B, p. B-133 ss.

   (49) Sul trust si rinvia a G. CONTALDI, Trust, in R. Baratta, Diritto internazionale privato, Milano, Giuffrè, 2010; ID., Il trust nel diritto internazionale privato italiano, Milano, Giuffrè, 2001; M. LUPOI, Trust, in S. Martuccelli, V. Pescatore (a cura di), Diritto civile, Milano, Giuffrè, 2011, p. 1798 ss.; ID, I diritti reali. 2. I trust nel diritto civile, in R. Sacco (diretto da), Trattato di diritto civile, Torino, Utet, 2004.

   (50) Il creditore ha la possibilità di votare attraverso un rappresentante. Inoltre, all’assemblea dei creditori partecipano e possono fornire pareri sulle materie di discussione i rappresentanti dei dipendenti e i rappresentanti dei sindacati (art. 59).

   (51) La prima assemblea dei creditori è convocata dal Tribunale Popolare entro quindici giorni dalla data di scadenza della predisposizione dello stato passivo; le successive assemblee sono convocate quando il Tribunale ne valuta la necessità o quando l’amministratore o il comitato dei creditori oppure i creditori che rappresentano almeno un quarto dell’ammontare totale dei crediti richiedono la convocazione al presidente dell’assemblea (art. 62).

   (52) La disciplina prevede, inoltre, in capo all’amministratore degli obblighi di informazione nei confronti del comitato dei creditori; se quest’ultimo non è stato nominato, le comunicazioni devono essere effettuate nei confronti del Tribunale (art. 69).

   (53) Si segnala che nella legge previgente la legittimazione a presentare la domanda di ammissione al procedimento di riorganizzazione per l’impresa di proprietà dello Stato spettava all’amministrazione pubblica, e non all’impresa debitrice.

   (54) La norma prevede anche l’ipotesi in cui l’istanza di liquidazione sia presentata da un creditore, e la società debitrice o un socio della stessa in possesso di più di un decimo del capitale registrato possa presentare l’istanza di riorganizzazione dopo che il Tribunale ha accolto la domanda, ma prima che il debitore sia dichiarato fallito (art. 70, co. 2).

   (55) M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 263.

   (56) L’art. 78 elenca le seguenti situazioni: a) il volume degli affari e la situazione finanziaria del debitore si è ulteriormente deteriorata e le possibilità di risanamento sono scarse; b) il debitore, con intento fraudolento, depaupera il suo patrimonio ed agisce a danno dei creditori; c) il debitore ostacola lo svolgimento dell’operato dell’amministratore.

   (57) Il piano di riorganizzazione deve contenere diverse indicazioni, tra cui la classificazione e lo schema per la soddisfazione dei crediti, il progetto per la ristrutturazione dei debiti, il termine del piano di riorganizzazione, il periodo di sorveglianza sulla applicazione del piano. L’amministratore, infatti, sorveglia l’esecuzione del piano di riorganizzazione dal momento in cui il Tribunale Popolare lo ha approvato. Durante questo periodo, il debitore deve comunicare all’amministratore la situazione sulla attuazione del piano stesso e la situazione finanziaria. Terminato il periodo di sorveglianza, l’amministratore deve consegnare una relazione al Tribunale e da questo momento l’amministratore interrompe l’attività di sorveglianza, a meno che il Tribunale, su richiesta dello stesso amministratore, non conceda una proroga al periodo di sorveglianza (artt. 90-91)

   (58) Nella legge fallimentare del 1986 la procedura di riorganizzazione non poteva eccedere i due anni, mentre nella legge vigente non è stabilito un termine dalla legge, che deve essere indicato nel piano di riorganizzazione.

   (59) M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 263.

   (60) In materia di crediti da lavoro si ha particolare riguardo a stipendi, ticket sanitari, indennità per lesioni ed invalidità, pensione sociale ed assicurazione medica, altre indennità pagabili dal debitore al lavoratore secondo le disposizioni della legge, dei regolamenti e di disposizioni amministrative.

   (61) Dall’elenco delle classi di creditori sembrano palesarsi delle analogie anche con la disciplina delle procedure concorsuali dell’ordinamento italiano.

   (62) M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 264. L’Autrice spiega, inoltre, che occorre considerare che il legislatore ha dovuto mediare tra l’obiettivo di innovare adeguandosi agli standards internazionali e la realtà imprenditoriale cinese, che è ancora molto condizionata dal sistema di pianificazione statale.

   (63) Questa procedura, alla quale ci si riferisce in inglese con il termine conciliation (D. A. PALMER, J. J. RAPISARDI, The PRC Enterprise Bankruptcy Law. The People’s Work in Progress, cit., p. 65) è stata resa in italiano non solo con il termine “concordato” (così come è stato scelto da M.A. Tanico nella traduzione della legge in lingua italiana dal cinese), ma anche con il termine “composizione” (traduce con i termini “concordato” o “composizione” L. GHIA, L’esdebitazione. Evoluzione storica, profili sostanziali, procedurali e comparatistici, Milano, 2008, p. 83).

   (64) M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 264.

   (65) Il Tribunale Popolare considera nullo l’accordo redatto in frode alla legge o con l’esistenza di attività illecite e in seguito dichiara il fallimento del debitore (art. 103).

   (66) Si tratta di una caratteristica tipica della cultura cinese, ove si cerca in primo luogo di evitare le controversie giudiziarie, poiché l’intervento del Tribunale è considerato elemento di rottura dell’ordine sociale, che ha l’effetto di screditare le parti litiganti di fronte all’intera comunità e allo Stato (M.A. TANICO, Economia di mercato e fallimento in Cina, cit., p. 265, ove l’autrice cita il volume G. AJANI – A. SERAFINO – M. TIMOTEO, Diritto dell’Asia Orientale, Torino, 2007).

   (67) Nell’applicazione di questa norma occorre tener conto che per porre in essere un’asta occorrono almeno tre concorrenti, in mancanza dei quali la vendita all’asta non può essere realizzata e si procede con il sistema della trattativa privata. Alcuni beni, inoltre, non possono essere venduti tramite un’asta, ad esempio i metalli preziosi devono essere ceduti soltanto alla Banca Popolare al corrispettivo stabilito da quest’ultima (M.A. TANICO, Legge fallimentare cinese, in L. PANZANI (a cura di), Il fallimento… atto terzo: primi spunti di dottrina e giurisprudenza, cit., Appendice normativa, p. 301, note all’art. 112).

   (68) Per i crediti da lavoro la legge si riferisce in particolare salari, ticket sanitari, indennità per lesioni e invalidità, indennità per perdite familiari dovute dal debitore ai dipendenti, pensione sociale e assicurazione medica pagabile dal debitore sul conto privato del lavoratore, le altre indennità pagabili dal debitore al lavoratore in accordo con la legge, i regolamenti e le disposizioni amministrative (art. 113).
(69) Tale documento contiene varie indicazioni, tra le quali l’elenco dei creditori, l’ammontare dei crediti, i beni disponibili del fallito, l’ammontare e il metodo per la distribuzione.

   (70) Nel termine di dieci giorni dalla pubblicazione del provvedimento di chiusura della procedura da parte del Tribunale, l’amministratore deve chiedere all’istituto (il quale è comparabile alla Camera di Commercio italiana: cfr. M.A. TANICO, Legge fallimentare cinese, in L. PANZANI (a cura di), Il fallimento… atto terzo: primi spunti di dottrina e giurisprudenza, cit., Appendice normativa, p. 303, nota all’art. 121) nel quale la società è registrata di cancellarne la registrazione.

   (71) M.A. TANICO, Legge fallimentare cinese, in L. PANZANI (a cura di), Il fallimento… atto terzo: primi spunti di dottrina e giurisprudenza, cit., Appendice normativa, p. 305, nota n. 1 all’art. 134.

   (72) M.A. TANICO, Legge fallimentare cinese, in L. PANZANI (a cura di), Il fallimento… atto terzo: primi spunti di dottrina e giurisprudenza, cit., Appendice normativa, p. 305, nota n. 2 all’art. 134.

Top

Home Page

dircomm.it
Rivista diretta da Giovanni Cabras e Paolo Ferro-Luzzi

Codice ISSN: E187960