SEMINARIO

Invenzioni e tecnologia

 
 

 

MATERIALI

 

CARLO FIAMMENGHI
L’invenzione del dipendente
   

   In ogni settore della proprietà industriale: brevetti di invenzione, modelli industriali e disegni ornamentali, per le nuove varietà vegetali e persino nella legge sulla protezione del software che, come è noto è inclusa nella protezione del diritto d’autore, il Legislatore si è preoccupato di determinare che il diritto al brevetto spetti all’autore dell’invenzione e [ai suoi aventi causa (art. 18 L. Invenzioni)] e rispettivamente all’autore del disegno o modello (art. L. Modelli) e per quanto riguarda il software, all’elaboratore, ma nei limiti del suo lavoro (art. 7 L. Diritto D’Autore).
   Per le novità vegetali l’autore può identificarsi col costitutore della nuova varietà che è la persona qualificata a conseguire il brevetto (art. 3 D.lgs. 3 novembre 1998, n. 455).
   Da quanto precede si noterà l’assenza di una norma a tutela del creatore di marchi d’impresa ove viene trascurato il momento creativo.
   Ritornando dunque ai titoli di esclusiva brevettuale, si vuole considerare quando tale esclusiva può appartenere a persona diversa dall’autore e quali diritti spettano a chi non è autore dell’invenzione o del trovato.
   Senza eccezioni, all’autore spetta sempre e comunque il diritto di essere riconosciuto tale. Il cosiddetto diritto morale che è inalienabile, imprescrittibile e può persino essere rivendicato dagli eredi.
   I diritti invece allo sfruttamento economico dell’invenzione e il diritto a richiedere il brevetto possono costituirsi sia in forza di contratto, sia ope legis in capo a chi la sfrutterà effettivamente, indifferentemente se si tratta di una persona fisica o giuridica.
   Nessun problema per quanto riguarda la cessione per contratto, mentre appare molto difficoltoso determinare quando l’autore non ha titolo per chiedere il brevetto e conseguentemente come rimunerare l’autore quando lo sfruttamento economico non gli è consentito. Il caso specifico è quello dell’invenzione del dipendente che è regolato sostanzialmente dall’art. 23 R.D. 29 giugno 1939, n. 1127.
   Esso configura due ipotesi:
   a) l’invenzione fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro in cui l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto e a tale scopo retribuito (art. 23, I comma);
   b) l’invenzione fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto, o di un rapporto di lavoro, ma non è prevista o stabilita una retribuzione in compenso dell’attività inventiva.
   Apparentemente il problema sembrerebbe di facile soluzione, ma al contrario l’argomento è sempre di una tale attualità che esistono al riguardo numerosissime decisioni giurisprudenziali, le quali sono servite ad enucleare ed a distinguere situazioni che pretendono soluzioni diverse.
   Intanto le definizioni: il primo comma dell’art. 23, si riferisce ad “invenzioni di servizio” e il secondo comma alle cosiddette “invenzioni di azienda”.
   «L’elemento distintivo – come si legge nella sentenza della S.C. del 6.11.2000 n. 14439 (in GADI – 2001 pag. 21) – tra le ipotesi disciplinate rispettivamente dal primo e dal secondo comma dell’art. 23 l.i., è costituito dalla previsione, o meno, di una specifica retribuzione che trovi la sua causa nell’obbligo del lavoratore di svolgere l’attività inventiva dovendo la previsione contrattuale del risultato inventivo risultare parzialmente correlato ad una specifica voce retributiva.»
   La massima qui riportata, mostra con tutta evidenza che non è sufficiente l’esistenza di un contratto di lavoro per la ricerca, affinché l’invenzione e quindi il diritto al brevetto che spetta automaticamente al datore di lavoro, si costituisca in capo a quest’ultimo senza il riconoscimento di un "premio.
   Il premio non è dovuto, secondo la sentenza richiamata, soltanto quando la renumerazione contrattuale preveda, il risultato inventivo. Un semplice contratto di impiego non sarebbe sufficiente ad esimere il datore di lavoro brevettante dall’ulteriore pagamento al ricercatore il quale, peraltro, se nel suo lavoro di ricerca non pervenisse a realizzare alcuna ipotesi inventiva, non per questo, perderebbe il diritto allo stipendio.
   È questo il caso del 2° comma dell’art. 23, che prevede l’ipotesi in cui nel contratto di lavoro manca un preventivo accordo da cui derivi che l’attività inventiva sia oggetto di attività dovuta.
   Questa è l’ipotesi del dipendente che, svolgendo regolarmente le sue mansioni quotidiane in seno all’azienda, perviene a suggerire soluzioni nuove atte a migliorare l’attività produttiva. Il dipendente, meritevole per i suggerimenti dati, ha diritto ad un equo premio. Potrebbe essere il caso di chi svolgendo mansioni ordinarie trova che un determinato strumento può essere vantaggiosamente migliorato, oppure se si tratta di un procedimento, una fase dello stesso o un modo di procedere, subendo varianti, consegue effetti di velocizzazione.
   In ambito chimico il tecnico addetto alla produzione molto sovente sperimenta con successo la sostituzione di un elemento con un altro più efficace.
   Anche qui però la decisione se brevettare o meno spetta al datore di lavoro e la S.C. ha sentenziato (sent. 7484 del 05.06.2000) che il diritto del lavoratore all’equo premio ed il corrispettivo obbligo del datore di lavoro di corrisponderlo, sorgono con il conseguimento del brevetto non essendo sufficiente che si tratti di innovazioni suscettibili di brevettazione, ma non brevettate (in Riv. Dir. Industriale, Anno 2001, n. 4-5, Parte II, pag. 247 e sg.).
   Pertanto solo il conseguimento del brevetto, in quanto costitutivo del diritto di esclusiva allo sfruttamento dell’invenzione, condiziona l’insorgere dei diritti del datore di lavoro e conseguentemente il diritto del prestatore d’opera al premio.
   Senza entrare ulteriormente in merito ad una certa distinzione che nell’interpretazione dell’art. 23, I comma, si è voluto fare tra contratto di pura ricerca e contratto con previsione d’invenzione e quindi con retribuzione adeguata ad evitare ulteriori pagamenti al ricercatore-inventore, vogliamo ricordare che l’importo del compenso definito “equo” per le legge se non è consensualmente trovato dalle parti era, quando la normativa sulle invenzioni è stata emanata, deferito ad un arbitrato che, essendo obbligatorio, è stato ritenuto incostituzionale dalla Corte Costituzionale.
   Ora, i criteri per l’assegnazione dell’equo premio possono trovarsi nella cosiddetta “Formula Tedesca”, che è conforme alle “Direttive relative al pagamento di un corrispettivo per le invenzioni dei dipendenti privati” emanate il 20 Luglio 1959 dal Ministero del Lavoro tedesco.
   Al di fuori dei casi previsti dall’art. 23, quando un dipendente trovi soluzioni brevettabili a problemi specifici dell’azienda in cui lavora – si pensi per esempio ad un impiegato contabile – il diritto al brevetto non spetterà al datore di lavoro, ma si ricade nell’ipotesi generale di un diritto al brevetto dell’inventore il quale potrà gestirlo in piena libertà salvo un diritto di prelazione allo sfruttamento a favore del datore di lavoro da esercitarsi entro tre mesi dal conseguito brevetto. Per conseguito brevetto si deve intendere il rilascio dell’attestato da parte dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, anche se, considerato il tempo che intercorre fra la data di deposito e quella del rilascio (circa tre anni) è consigliabile forzare la lettera della legge e pensare alla data del deposito come data del conseguimento – in ciò assistiti dal disposto dell’art. 4 l. in. – che stabilisce che gli effetti del brevetto decorrono dalla data in cui la domanda con la descrizione e gli eventuali disegni è resa accessibile al pubblico.
   Questa normativa ha recentemente subito una profonda modifica con l’aggiunta di un art. 24-bis alla Legge Invenzioni con l’emanazione del D. lgs. 18 Ottobre 2001 n. 383, che stabilisce quanto segue:

«1. In deroga all’art. 23 del presente decreto e all’art.34 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, quando il rapporto di lavoro intercorre con una università o con una pubblica amministrazione avente fra i sui scopi istituzionali finalità di ricerca, il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore. In caso di più autori, dipendenti delle università, delle pubbliche amministrazioni predette ovvero di altre pubbliche amministrazioni, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono a tutti in parti uguali, salvo diversa pattuizione.
L’inventore presenta la domanda di brevetto e ne dà comunicazione all’amministrazione.
2. Le università e le pubbliche amministrazioni, nell’ambito della loro autonomia, stabiliscono l’importo massimo del canone, relativo a licenze a terzi per l’uso dell’invenzione, spettante alla stessa università o alla pubblica amministrazione, ovvero a privati finanziatori della ricerca, nonché ogni ulteriore aspetto dei rapporti reciproci.
3. In ogni caso, l’inventore ha diritto a non meno del 50 per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione. Nel caso in cui le università o le amministrazioni pubbliche non provvedano alle determinazioni di cui al comma 2, alle stesse compete il 30 per cento dei proventi o canoni.
4. Trascorsi cinque anni dalla data di rilascio del brevetto, qualora l’inventore o i suoi aventi causa non ne abbiano iniziato lo sfruttamento industriale, a meno che ciò non derivi da cause indipendenti dalla loro volontà, la pubblica amministrazione di cui l’inventore era dipendente al momento dell’invenzione acquisisce automaticamente un diritto gratuito, non esclusivo, di sfruttare l’invenzione e i diritti patrimoniali ad essa connessi, o di farli sfruttare da terzi, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore.».

Copyright  Avv. Carlo Fiammenghi – 2004

Università degli Studi Roma Tre – Roma, 5-27 marzo 2004
• Seminario diretto da Giovanni Cabras e Maurizio Pinnarò •