CODICE CIVILE
LIBRO V – DEL LAVORO
CAPO V
SOCIETÀ PER AZIONI
Sezione III-bis. –
Dei patti parasociali
Gli
articoli in commento si contraddistinguono perché introducono
finalmente a pieno titolo i patti parasociali nell’ambito
del nostro ordinamento e segnatamente nel settore societario.
È inutile in questa sede rammentare che la giurisprudenza
prima e leggi di settore poi avevano già dimostrato
la piena conformità di tali strumenti di governance
delle società rispetto al nostro ordinamento. Tuttavia
non può che prendersi atto, con favore, del fatto che
l’occasione della riforma non è stata persa per
dare piena legittimazione a tali accordi e per dettarne una,
sia pur sintetica, disciplina.
Ai fini della normativa dettata
dagli articoli in esame sono considerati patti parasociali
i patti che “al fine di stabilizzare gli assetti propietari
o il governo della società”: a) hanno per oggetto
l’esercizio del diritto di voto nelle società
per azioni e nelle società che le controllano; b) pongono
limiti al trasferimento delle relative azioni o di quelle
delle loro controllanti; c) hanno per oggetto o per effetto
l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante
su tali società.
2341-bis. Patti parasociali
I patti, in qualunque forma
stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari
o il governo della società:
a) hanno per oggetto l’esercizio
del diritto di voto nelle società per azioni o nelle
società che le controllano;
b) pongono limiti al trasferimento
delle relative azioni o di quelle delle loro controllanti;
c) hanno per oggetto o per effetto
l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante
su tali società,
non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono
stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto
un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza.
Qualora il patto non preveda
un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere
con un preavviso di sei mesi.
Le disposizioni di questo articolo
non si applicano alle clausole accessorie di accordi di collaborazione
nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi
a società interamente possedute dai partecipanti all’accordo.
L’art.
2341 bis stabilisce che per tali patti è ammessa la
libertà della forma (“in qualunque forma stipulati”)
e che la loro durata non può essere superiore a cinque
anni. Nel caso in cui le parti abbiano previsto un termine
di durata più lungo, lo stesso si riduce ex lege
nei limiti del quinquennio. Nel caso in cui le parti non abbiano
fissato un termine di durata dell’accordo, ciascun contraente
ha diritto di recedere con un preavviso di sei mesi.
I patti parasociali sono, comunque,
rinnovabili alla loro scadenza.
L’ultimo comma dell’art.
2341 bis chiarisce che «le disposizioni di questo articolo
non si applicano alle clausole accessorie di accordi di collaborazione
nella produzione e nello scambio di beni o servizi e relativi
a società interamente possedute dai partecipanti all’accordo».
2341-ter. Pubblicità
dei patti parasociali
Nelle società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio i patti parasociali
devono essere comunicati alla società e dichiarati
in apertura di ogni assemblea. La dichiarazione deve essere
trascritta nel verbale e questo deve essere depositato presso
l’ufficio del registro delle imprese.
In caso di mancanza della dichiarazione
prevista dal comma precedente, i possessori delle azioni cui
si riferisce il patto parasociale non possono esercitare il
diritto di voto e le deliberazioni assembleari adottate con
il voto determinante sono impugnabili a norma dell’articolo
2377.
La
nuova norma detta una specifica disciplina, ispirata ai principi
della trasparenza e della disclosure, per le società
che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. In questo
caso i patti parasociali devono essere comunicati alla società
e dichiarati in apertura di ogni assemblea. È inoltre
prescritto che la dichiarazione sia trascritta nel verbale
e che questo sia depositato presso l’ufficio del registro
delle imprese.
La violazione dell’obbligo
di dichiarazione testè evidenziato determina che i
soci aderenti al patto parasociale non possono esercitare
il diritto di voto e che le deliberazioni assembleari eventualmente
«adottate con il loro voto determinante sono impugnabili
a norma dell’art. 2377».
La disciplina, così configurata,
non presenterebbe particolari problemi interpretativi; tuttavia,
non possono nascondersi alcuni problemi di coordinamento tra
la nuova normativa e le disposizioni del TUIF.
Infatti, non ci sembra dubitabile
che la prima si applichi anche alle società quotate,
in base all’esplicito riferimento a queste ultime contenuto
nell’art. 2341-ter cod. civ. Peraltro, attesa la parziale
differenza tra le due discipline, si potrebbe arrivare alla
conseguenza che, ad esempio, i patti concernenti l’acquisto
di azioni in società quotate debba essere comunicato
alla CONSOB, ma non all’assemblea, al contrario di quanto
avviene per tutti gli altri patti, per i quali vige il doppio
regime di pubblicità.
Per risolvere una antinomia,
che non troverebbe alcuna razionale giustificazione, bisogna
arrivare ad ammettere che l’art. 2341-bis cod. civ. abbia
di fatto modificato l’art. 122 del TUF; dunque, a nostro
avviso, i patti sull’acquisto delle azioni non rientrano
più tra quelli rilevanti ai fini dell’applicazione
del regime di pubblicità. Analogamente, deve ritenersi
che il termine di tre anni di cui all’art. 123 del TUF
sia stato modificato in cinque anni, ai sensi della nuova
normativa.
A diverse conseguenze, a nostro
avviso, deve arrivarsi in ordine al regime di pubblicità.
Infatti, come si è visto, la nuova disciplina (art.
2341-ter cod. civ.) impone per le società quotate la
comunicazione dei patti parasociali in limine all’assemblea,
e la pubblicazione del relativo verbale sul registro delle
imprese. Viceversa, l’art. 122 TUF prevede un regime
di pubblicità composito, che comprende la pubblicazione
nel registro delle imprese ma anche, e soprattutto, la comunicazione
alla CONSOB e la pubblicazione sulla stampa quotidiana. Ci
sembra, in proposito, che la nuova disciplina debba integrare
quella previgente, anche perchè a ritenere che quest’ultima
sia stata implicitamente abrogata, potrebbe ipotizzarsi un
problema di eccesso di delega. Infatti, l’art. 4 della
legge 3 ottobre 2001, n. 366, nella parte dedicata ai patti
parasociali, si è limitato a stabilire il principio
in base al quale il decreto delegato dovesse prevedere, per
le società quotate, procedimenti che assicurassero
«il necessario grado di trasparenza attraverso forme
adeguate di pubblicità».
Dunque, ove la norma delegata
dovesse semplificare il regime pubblicitario per i patti parasociali,
richiedendo semplicemente la comunicazione alla stessa assemblea
(sia pure accompagnata dalla pubblicazione sul registro delle
imprese), e limitando così notevolmente la pubblicità
richiesta per il patto, si potrebbe dubitare della sua stessa
legittimità costituzionale. Al limite, si può
viceversa ritenere che, mentre il testo dell’art. 2341-ter
cod. civ. prenda in considerazione la sola pubblicità
“privatistica”, ossia volta alla tutela di soci
e creditori sociali, il TUF preveda la pubblicità “pubblicistica”,
ossia volta al mercato ed al suo organo di vigilanza.
Ad ogni modo, l’inserimento
nel codice civile di una disciplina organica, sia pure estremamente
generale, dei patti parasociali, non potrà che contribuire
a fare chiarezza in una materia nella quale, in passato si
sono posti notevoli dubbi sulla stessa legittimità
della fattispecie.